Vela

Dora Gabe

Dora Gabe

 

… la cacciò la fame.
Oggi è il terzo giorno
che non tocca cibo.
La pioggia era cessata;
splendevan gli abeti al sole
e le rocce e i sentieri,
come lavati dallo scroscio.
Uscì, si guardò intorno.
S’avviò verso la fonte, ma scorse
una traccia. Un uomo
era passato accanto alla sorgente,
era andato di là.
La scosse un brivido di gelo.
Doveva fuggire: dove?
In su, la neve aveva
coperto e spianato tutto;
giù vegliava il nemico.
Strinse nella mano la pistola
e s’avviò. Dove? Non sapeva.
Così tentava. Poteva
incontrare un compagno,
un amico, un parente, forse.
E s’avviò inseguita dalla fame.
E marciando scorse su un colle
un gregge: no, i pastori
non l’avrebbero tradita.
Affrettò il passo e corse;
ma quattro cani da pastore
le s’avventarono incontro, sì feroci
ch’essa riuscì appena,
tremante e spaurita
a strappar dalle fauci la gonna
e a riprender la fuga.
E correndo, incontrò due bimbi
venuti nel bosco a cercar legna.
La riconobbero subito,
e s’arrestarono, come intimiditi.
Ma dopo un istante
corsero incontro a lei:
— O Vela, zia Vela,
nasconditi; la polizia
ti dà la caccia! Prendi
questo pane e scappa!
Le fu caro quell’incontro;
da tanto non vedeva più
una creatura umana. Li fissò
a fondo, negli occhi; e sorrisero
i bimbi. Fu come un bagno
per il suo cuore. Si congedò.
« Voi non direte nulla nevvero?
Non avete paura? » « O, no! »
E tacquero davvero.
Ma un altro non tacque:
la guardia forestale. La scorse
nel bosco, tornando. L’era parente,
un brav’uomo, così lo conoscevano,
non poteva tradire! Da lontano
egli la vide e la seguì
per sette giorni.
Da quel momento
non chiuse occhio per intere notti.
Ma non osava confidarsi a nessuno;
lottava entro di se, finché una volta
si confidò al suo compagno;
e insieme decisero la sorte
dell’indifesa fanciulla…
Li vinsero centomila leva…
Quando mai videro
queste montane vette
una tale fila di soldati?
Giù ai piedi del colle compare,
sale strisciando e scende
attraverso la strada
e si allunga come un arco
abbracciando i due versanti
delle montagne,
e striscia in su, verso il nemico.
Il nemico?
E’ un uccello addormentato nel nido.
Perché temete tanto?…
Entra la testa della serpe
su, nella pineta,
e la coda ancora si torce
laggiù in basso. O Arapcal,
incoronato dal fulgor del sole,
le sue vette son d’oro,
risplendono le rocce.
Perché taci? Non avvamperà
qui la battaglia
fra i soldati e la fanciulla?
Tra il drago e la samodiva?
Un canto canterà la partigiana,
Vela; un canto di popolo.
E il nostro giorno turbinoso
lo tramanderà
al secolo avvenire:
e sotto sarà inciso
con lettere di fuoco,
L’UOMO…..