Orto

Diego Valeri

Diego Valeri

 

Di sul muretto bigio, un testo di gerani
mi sorride l’invito. Sosto. Oh felicità!
Dal cancello m’appare, tra vigne e melograni,
il viso allegro e mesto della mia prima età.
Orto d’altri, nessuno t’ha posseduto mai
come questo passante che, fermo sulla tua soglia,
guarda le roselline vibrare sui rosai
e il gran cespo di lauri lustrare da ogni foglia.
Nessuno ha tanto amato la tua bellezza buona
tra il nereggiar del fico e il giallo dei bambù,
se non fosse l’uccello che a cantar s’abbandona
mentre sui fiori smania il calabrone blu…
Guardo e sorrido. E’ l’orto sognato in fanciullezza,
nello squallido esilio d’un chiuso terzo piano.
Tanta frescura molle, tanta rude dolcezza
sveglia il mio cuore antico do poeta-ortolano.
Guardo le architetture ricche di pergolati,
i fagioli e i piselli in ricci rococò,
i pomodori verdi appena un po’ arrossati,
la rosa troppo rosa sul petto del bersò,
le tenere lattughe presso la concimaia,
le salvie inargentate su l’orlo delle aiuole,
i cupi rosmarini dentro la turba gaia
delle dalie vermiglie ubriache di sole…
Come mi ride il cuore!
Piccole cose care,
da quanto quanto tempo vi avevo entro di me…
Ma vedo un ragnatelo luccicare e tremare…
E il cuor mi piannge; e sono triste; e non so perché…