Tutto ciò, amico mio,
Vivere, che annoda
Ieri, nostra illusione,
A domani, nostre ombre.
Tutto ciò, e che fu
Così nostro, ma
Non è che questo cavo delle mani
In cui acqua non resta.
Tutto ciò? E la più
Nostra felicità:
Il volo greve dell’upupa
Nel cavo delle pietre.
Nevica. Che volevi tu, anima,
Di nascita eterna, che non abbia avuto?
Guarda, tu hai qui
Una veste di festa ancora per la morte.
Un abito come nell’adolescenza,
Di quelli che uno prende con cura in mano
Poiché la stoffa è trasparente e resta
Tra le dita che la svelano alla luce,
Si sa che è fragile come l’amore.
Ma foglie e corolle vi sono ricamate
E già la musica si intende
Nella stanza vicina, illuminata,
Un misterioso ardore ti prende la mano.
Nessun dio l’avrà voluto, e neanche saputo, Nessuno l’ha accompagnato nella sua fatica, Un sogno, questo bambino sul viale Che cammina accanto a lui, cinto di luce. Nessuno è morto nell’ora in cui è morto, Ha preso la sua mano nel letto sfatto, Nessuno avrà mai lavorato accanto a lui Nell’officina che sostituì la vita. Risale, nelle parole che dicono il mondo, Il suo silenzio, che le nega, che mi chiede D’immaginarne altre, ma non posso. Nessuno ha posato lo sguardo su di lui. Quel che avrebbe potuto essere non sarà. La parola non salva, talvolta sogna. Traduzione di Fabio Scotto
Lucrezio lo sapeva: Apri il baule, vedrai, è colmo di neve che turbina e a volte due fiocchi s’incontrano, unendosi oppure uno si volta, graziosamente nella sua poca morte. Di dove quel chiarore in alcune parole quando l’una non è che notte, l’altra, solo sogno? Di queste due ombre che, ridendo, vanno e l’una raggomitolata in una lana rossa?
Dicono
Che barche appaiano nel cielo,
E che, da alcune,
La lunga catena dell’àncora possa scendere
Verso la nostra terra furtiva.
L’àncora cerca sulle nostre praterie, tra i nostri alberi,
Il luogo dove fissarsi,
Ma presto un desiderio di lassù la strappa,
La nave d’altrove non vuole saperne di qui,
Ha il suo orizzonte in un altro sogno.
Ma accade
Che l’àncora sia, si direbbe, più pesante del consueto,
E si trascini quasi a terra e urti gli alberi.
L’avrebbero vista impigliarsi al portale di una chiesa,
Sotto l’arco a tutto sesto che cancella la nostra speranza,
E qualcuno che da quell’altro mondo sia disceso,
Goffamente, lungo la catena tesa, dura,
Per liberare il suo cielo dalla nostra notte.
Ah, che angoscia quando armeggiò contro la volta,
Stringendo a piene mani il suo strano ferro,
Perché occorre
Che qualcosa inganni in noi la mente
In questa traversata che la parola
Tenta, senza saper nulla, verso la sua altra riva?
No, non è Questo triste assenso che mi aspetto da voi. Il bambino piange sul sentiero e lo dimentico. Sono la bellezza Solo perché stuzzico il vostro sogno? No, ho in fondo a me degli occhi spalancati, Io sono nascosta, spaventata, sono pronta A scagliarmi in avanti, a graffiare, O a fare la morta se sento Che la mia causa è persa nei vostri sguardi. Chiedetemi di essere più del mondo. Patite che io non sia che questo corpo inerte, Curatemi con i vostri auspici, con i vostri ricordi. Traduzione di Fabio Scotto
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