I Non sei venuto questa sera all’appuntamento va bene che c’era un po’ di vento e non ti avevo detto da che parte della stanza e non sapevi poverino l’ora esatta ma solo la sera della settimana non mi ricordo più le cose da quando ti sono stata presentata proprio quella sera che non mi hai notata abbiamo parlato solo due tre volte ti ho detto solo quattro cinque cose nome cognome e che sono separata non puoi saperlo poverino che mi sono innamorata II Nonostante ci fosse un po’ di vento sei venuto questa sera all’appuntamento e mi hai dato due baci sulle guance e mi hai fatto una carezza e un complimento mi gira forte la testa ma non c’entra il vento III Non sei venuto questa sera all’appuntamento eppure non c’era in cielo il vento e ti avevo detto da che parte della stanza e anche son sicura l’ora esatta non mi muovo sto qui ad aspettare un complimento e siccome mi sono innamorata io mi sento con dentro alla testa un po’ di vento. Vivian Lamarque
(Tesero, 1946), da Teresino (Società di poesia, 1981)
Di vita venti circa anni ancora, così tanti? Specifichiamo allora: inverni venti circa venti circa primavere, così poche? circa sole venti volte è già natale, venti andare al mare? è così poco venti due decine sole e mentre dici venti il vento ruba siamo a diciannove, a nove – grandi speranze, forsizie rami d’oro, disperazione e resurrezione, venti, che paura entra dentro la regione. Vivian Lamarque (Tesero, 1946), da Madre d’inverno (Mondadori, 2016)
Le voglio troppo bene? così non va? semplice: toglierò subito il troppo resterà solo il bene quando avrò raggiunto la giusta quantità festeggeremo insieme o soli la mia maturità? Vivian Lamarque
(Tesero, 1946), da Poesie dando del Lei (Garzanti, 1989)
Altro che la visione delle immacolate
vette dell’Himalaya, altro che le meraviglie
dei vulcani in ripresa d’attività, altro
che da una sponda osservare le maestose
cascate come nel film Niagara
affacciata alla sponda del tuo letto d’ospedale
la visione della candida collina del lenzuolo
che faticosi respiri fanno sollevare
abbassare sollevare, nella bianca camicia
un ricamo trasale, trema un bottone
di madreperla in precario equilibrio
quieto luccica il termometro
sul comodino posato e luccica
come un’aurora un tramonto il rosa
della flebo e nel sacchetto l’oro
dell’urina e lo scialle bianco fa la collina
coperta di neve tanta neve infatti
stai cercando di formare la frase senti che
freddo qui che freddo che fa?
Perché non trovarti mai le vene? macchiarti le tue braccia di neve così? E io non trovavo l’infermiera per domandare e i visitatori non trovavano la stanza per visitare e tu non trovavi il telecomando che pure era lì, quello per sollevare il letto, per cambiare ogni due ore, tutte le posizioni del dolore.
Poesia n. 313 Marzo 2016 Vivian Lamarque. Madre d’inverno (anticipazione dell’omonimo volume in uscita presso Arnoldo Mondadori Editore)
Per il Suo compleanno Le regalo in pacchetto un mio guarito difetto da buttare in fondo al mare Lei con sapienza mi ha curata sono la Sua Vivian quasi risanata. Vivian Lamarque
(Tesero, 1946), da Poesie dando del Lei (Garzanti, 1989)
L’ultima volta che la vide non sapeva che era l’ultima volta che la vedeva. Perché? Perché queste cose non si sanno mai. Allora non fu gentile quell’ultima volta? Sì, ma non a sufficienza per l’eternità.
I mattini ghiro mio come vorrei che tu imparassi ad amare i mattini soffriresti meno ad alzarti forse se da te fosse come qui che quando apri le finestre subito hai lì alberi perfetti immobili ma a guardare bene con anche un punto dove le foglie tremano per un uccello appena volato via al rumore della finestra (o forse ghiro mio avresti sonno lo stesso). Vivian Lamarque (Tesero, 1946) da Poesie 1972-2002 (Mondadori, 2002)
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