Voglio poter un giorno esser marmorizzato senza più nervature o fili di tendini o vene. Soltanto malta aerea, nubilosa, calce spenta, la tunica striata da un vento che non soffia. Valerio Magrelli (Roma, 1957) da Poesie (1980-1992) e altre poesie (Einaudi, 1996)
Qual è la sinistra della parola, come si muove nello spazio, dove proietta la sua ombra (ma può una parola fare ombra?), come osservarne il retro o poggiarla di scorcio? Mi piacerebbe rendere in poesia l’equivalente della prospettiva pittorica. Dare ad un verso la profondità del coniglio che scappa tra i campi e renderlo distante mentre già si allontana da chi osserva dirigendosi verso la cornice sempre più piccolo ma fermo tuttavia. La campagna lo osserva, e si dispone intorno all’animale, al punto che la fugge. Valerio Magrelli (Roma, 1957),da Nature e venature(Mondadori, 1987) Esempio perfetto di metapoesia (vale a dire di testo che, dall’interno, s’interroga su natura e modalità del fare poesia), questo componimento comincia chiedendosi qual è la vera natura della parola: non un semplice medium comunicativo, va da sé, una zavorra atta solo a trasmettere un senso logico; ma un prisma ricco di sfaccettature e di implicazioni, capace di irradiare una polisemia di significati e di suggestioni, di suoni e di visioni. Che cosa prende forma dall’altra parte, rispetto alla “destra” dei referenti concreti? La parola occupa spazio, designa oggetti, dichiara sentimenti, ragiona: ma apre e crea anche una dimensione prospettica. E se è un corpo solido farà ombra, avrà un davanti e un dietro. Nel creare un mondo che non è solo realtà descrittiva, oggettivamente percepibile coi sensi comuni, la parola poetica può costruire una prospettiva pittorica, con la sua fisionomia multiforme e multanime, che fa interagire musica e pittura, logos e istinto drammatico-dialogico. Allora, se è vero che tutto il mondo che abitiamo è un sistema spettacolare, quasi al modo di un Truman show di massa (si pensi all’estetica attuale di selfie e messaggini), è vero anche che alla poesia è concesso di creare uno spicchio di mondo più autentico dell’esperienza vissuta e fuggitiva, un quadro di realtà strutturato da una”cornice”, in cui l’atto del nominare per esempio un coniglio in fuga lo sottrae all’illusorietà dell’istante effimero, per consegnarlo a una dimensione figurale dotata di profondità e prospettiva, perfetto fotogramma in miniatura. Anche il paesaggio circostante, allora, diventa cosa viva, “osserva” il suo piccolo abitatore e si dispone attorno a lui. E noi lettori siamo a nostra volta dentro il quadro, rassicurati da questa nuova profondità che ci avvolge, assicurandoci orientamento e direzione: e la parola che ci attraversa assicura solidità all’immagine, presenza e senso concreto, da toccare con mano, oltre che con vista e udito. (Alberto Bertoni)
Ogni volto fotografato è un immagine bellica, il punto di tangenza tra l’aereo nemico e la nave nell’attimo che precede l’esplosione. Fermo nell’istantanea, nel contatto flagrante tra due sguardi immolato, ripreso mentre le fiamme covano già nella fusoliera crescendo dentro i suoi tratti, vive soltanto il tempo necessario a compiere la missione del ricordo. Valerio Magrelli
(Roma, 1957), daNature e venature(Mondadori, 1987)
Le labbra senza desiderio sono lenzuola stese ad asciugare. Solo il vento le sfiora, stendardi di malinconia. Non sono le labbra di questa ragazza, popolate di baci, rami spessi dalle pesanti ombre. Valerio Magrelli (Roma, 1957), da Ora serrata retinae (Feltrinelli, 1980)
Io sono ciò che manca dal mondo in cui vivo, colui che tra tutti non incontrerò mai. Ruotando su me stesso ora coincido con ciò che mi è sottratto. Io sono la mia eclissi la contumacia e la malinconia l’oggetto geometrico di cui sempre dovrò fare a meno. Valerio Magrelli (Roma, 1957), da Ora serrata retinae (Feltrinelli, 1980)
Io cammino fumando e dopo ogni boccata attraverso il mio fumo e sto dove non stavo dove prima soffiavo. Valerio Magrelli (Roma, 1957), daNature e venature(Mondadori, 1987)
Guarda questa bambina che sta imparando a leggere: tende le labbra, si concentra, tira su una parola dopo l’altra, pesca, e la voce fa da canna, fila, si flette, strappa guizzanti queste lettere ora alte nell’aria luccicanti al sole della pronuncia. Valerio Magrelli (Roma, 1957), da Disturbi del sistema binario (Einaudi, 2006)
C’è intorno una tale quiete che quasi si può udire il tintinnare di un cucchiaino che cade in Finlandia (I. Brodskij) Ma perché sempre dietro la mia parete? Sempre dietro, le voci, sempre quando scende la notte iniziano a parlare, latrano o addirittura credono che sussurrare sia meglio. Mentre mi sento questo filo d’aria fredda delle loro parole che mi gela, che mi lega e mi tormenta nel sonno. Sempre dietro la mia parete. Ero ai confini del circolo polare, e anche laggiù una coppia piangeva nella sua stanza oltre un muro trasparente, piangeva, luminoso, tenero come la membrana di un timpano, e io stavo lì vibrando facevo da cassa armonica alla loro storia. Fino a che, a casa mia, hanno rifatto il tetto, le tubature, la facciata, tutto, e battevano ovunque, sopra, sotto, e battevano sempre chiacchierando tra loro solo quando dormivo, solo perché dormivo, solo perché facessi da cassa armonica alle loro storie. Valerio Magrelli (Roma, 1957), da Esercizi di tiptologia (Mondadori, 1992) Una epigrafe che mi è cara, per una poesia che ha ascendenze fonde nella tradizione italiana, dove non c’è solo il fulmineo ermetismo, ma si incontrano anche volute, festoni, spirali di pensieri collegati mirabilmente in poca ipotassi e molta paratassi: ricordiamo il Montale dell’Anguilla(a questo proposito, dello stesso Magrelli, si leggaChe la materia). Una poesia dove alla fine ci si trova in un altro posto, rispetto al luogo di partenza, dopo aver attraversato uno spazio che pareva ben delineato, avendo vagato al limite tra quello che è già esperienza nostra e quello che invece si apre all’inatteso, sorpresi di essere arrivati, in così poche righe, fin là. Gian Mario Villalta
Io sopporto ingiustizie dalla nascita, a cominciare ovviamente dalla nascita. Lo Stato che depreda, gli amici che tradiscono, il nepotismo, le sopraffazioni fisiche o burocratiche, ogni variante dell’illegalità, e adesso anche il voto rubato per essere offerto al nemico! Ma la roulotte è troppo. Sequestrare la strada, impormi con violenza un’andatura non mia, occupare lo spazio di tutti solamente per sé: questo è troppo. Dov’è il rispetto per l’altro, per la sua libertà? Come è possibile essere tanto indifferenti verso il prossimo? IO, IO, IO, IO, IO, IO, IO, IO, IO, IO! E’ un io che precede l’avvento dei mammiferi, un io da rettili, da uccelli predatori. No, la roulotte è troppo. La roulotte è davvero troppo. No, no: è davvero troppo, la roulotte. Nota. La roulotte è accettabile negli Usa, dove il sistema viario prevede carreggiate di due, tre o quattro corsie. Di conseguenza il buon senso vorrebbe che in Italia, per non incorrere nel reato di “occupazione di suolo pubblico”, a un veicolo simile fosse permesso circolare esclusivamente in autostrada.Ciò detto, restano due domande: a) Vorrà dire qualcosa il fatto che la prima caravan, con il nome diWohnauto(“casa viaggiante”), vide la luce in Germania, nel 1931? b) Esisterà un possibile rapporto fra la prepotente annessione del terreno comune da parte della roulotte privata (“Anschluß”), e il dato biografico secondo cui, prima di dedicarsi alla sua egoistica invenzione, l’ideatore, Arist Dethleffs, lavorasse a lungo, come addetto alle vendite, nella fabbrica di fruste del padre? Valerio Magrelli (Roma, 1957)
Così si percorre la vita, con l’ansia del commensale tra portate che non arrivano. Si mangia molto pane e si beve, molto si conversa di favolosi cibi, universi d’origano, foreste d’inauditi sapori. È già tardi e sul limitare del pasto in un deserto di molliche dalle segrete forme (e questo è un piede sinistro, si vede), la nera morte araba ci congeda. Valerio Magrelli (Roma, 1957), da Ora serrata retinae (Feltrinelli, 1981)
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