solo il disegno di una bambina poteva farti ricordare di me un promemoria in coda al caso la mia casa è crollata crollandomi sopra da oggi ne scavo le ossa tra le mani ho numero civico e cognome mi porteresti? mi avvio tra i rottami senza il sospetto di nessuno gli insettifughi sono innescati è tardi andiamo via mi chiedi di andare verso il mare io si dico andiamo ti chiedo come mai non nasce vuota la conchiglia (da Amnesia dei vivi, Pequod ed., ’15)
sei ore intere in quella casa via degli Orti settantasette con quel bambino dal testino grande e lui gracile spaurito tigna per un piatto caldo e mi dorme accanto stringe tra le sue manine la mia se ripenso a come mai sia qui è solo un caso che tua madre mi abbia portata da te lei con un nome buffo dal fiore lo ricordo Mimoza è il riverbero di una sveglia un cigolio di chiavi che affiora all’orlo del pomeriggio ( da Nelle Vene, Manni ed., ’09)
il canterino bassoronzio dalla radiosveglia un venticinque aprile che accumula la tua età e le leggende di te che simulavi la guerra di te che non dormivi sbattuto a forza a lavare i denti nel laghetto con chi si sciacquava il culo a mangiare bistecche suole indigeribili e digiunare contare i passi dalla marcia ai granelli aree di sabbia sterminate accettare il contratto del viaggio la sua infinità i proiettili sparati per sbaglio per capire se uccidono davvero racconti archeologici di padre in figlia è un compleanno di cieli azzurrini vino della casa per la liberazione dei ricordi *Allen Ginsberg (da Amnesia dei vivi, Pequod ed., ’15)
non si sapeva dove andare dai bar di provincia impazzivamo di noia quella volta che dopo pranzo corsi via di casa oltre il campo per vederci o inventarci un tempo solo nostro che sedute strette sulla collinetta ci siamo ubriacate col vino di papà che tenevi nello zaino e ridevi strana ho una sorpresa per noi sentivamo l’alito dell’erba scura il pugno fedele al collo e la mia mano a raccogliere la tua che a bere viene così ciò che dimentichiamo e ricordiamo appena le quattro di pomeriggio appena quindici anni mi piacerebbe calarmi dietro una siepe con te e pisciare via il vino di risate mi piacerebbe avere un fiuto da cane per trovarti o per la vita (da Nelle vene, Manni ed., ’09)
ogni giorno addomestico l’angoscia smisuro i vizi fumo di più cambio i mobili la disposizione sul perimetro già corto di questa buca alcuni si allenano a questo va e vieni io qui segno l’uscio all’oblio l’unico dio di questa mia libertà passo dopo passo passa il lavorio della nascita riposati nel mio modo di abbracciarti sbracciando quando saremo in alta quota a esercitare i vuoti d’aria della nostra nostalgia migratoria ancora non lo sa nessuno ma presto la terrà ghiaccerà in questa vita e in quella che verrà torneremo a casa una casa che non è mai stata (daAmnesia dei vivi, Pequod ed., ’15)
sono fragili le nostre gambe come le nostre ossa fortissima la gravità che risucchia ogni lacrima alla cagna triste della colpa al buco ululante dove accucciamo pigramente il ricordo mi piaceva sbucciare pinoli farne mucchietto calarmi la resina tra dito e dito annusarmi di nuovo ogni volta come la prima (da Amnesia dei vivi, Pequod ed., ’15)
riempendosi le tasche di sassi s’alza e si siede dallo scrittoio di cartone aspetta il turno con la pelle indurita alle mani sottolineare un indizio è ancora valida l’ipotesi? di un’estinzione d’innocenza? la vedi s’alza una torre dal sottosuolo e un’altra e un’altra ancora fisse bare verticali una processione senza acuti di fazzoletti inzuppati scemerà anche questa veglia di pat pat sulla schiena una toccata di sguardi e la mischia di parenti scompare ci si saluta come ci si è incontrati con le labbra morsicate di liquore (da Amnesia dei vivi, Pequod ed., ’15)
ai vestiti non stringi più due taglie i cartamodelli non sai come cucirli e non sai più pisciare ti rivesto con cura nel bagno di questo ristorante dove servono prosecco blu e tuo nipote strappa il papillon del battesimo raccolgo due anelli dal lavandino per darteli me li ha regalati mio marito questi lo ricordo con l’aria paralizzata da autista di autobus il mio stesso storto naso i suoi diplomi nascosti nella scatola del tè torni a svegliarti senza riconoscermi cadendo e saldando la serratura di casa con una forchetta ma ti raccolgo fianco a fianco ora raccontami il versante migliore dell’anamnesi i dottori non né sapranno niente accompagnami tu a comprare il pane e il tabacco insegnami a dimenticare sbagliare il nome consumando l’eco claudicante che volta la strada o lo strillo del venditore di limonata uguale da ventisette anni e da millenni (da Amnesia dei vivi, Pequod ed., ’15)
dal muro le maschere appese ci spaventano a breccia d’occhio prima di accendere la luce le sento parlare quasi ma è il gatto a zompare nel buio dittatore della casa ricorda che lascia il fuoco acceso le porte aperte il portafogli nelle mani del cassiere il pane chiuso nel cassetto si nasconde i crocchè nel reggiseno a mo’ di scorta prima del letargo per te lo zucchero si versa a pugni nella tazzina ti fasci la testa di lana e siamo ad Agosto solo per zittire la testa le sue sinapsi calcaree (da Amnesia dei vivi, Pequod ed., ’15)
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