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Arte

Nikolaj Zabolockij

Nikolaj Zabolockij

 

L’albero cresce, facendo ricordare
Una naturale colonna di legno.
Da essa si diramano le membra
Vestite di foglie rotonde.
L’unione di tali alberi
Forma un bosco, un querceto.
Ma la definizione di bosco è imprecisa
Se mostriamo solo la struttura formale.
Il grosso corpo di una vacca
Disposto su quattro estremità,
Coronato dalla testa come cattedrale
E da due corna (come luna al primo quarto),
Sarà anch’esso incomprensibile,
Sarà anch’esso inconcepibile,
Se dimentichiamo la sua importanza
Sulla mappa dei viventi di tutto il mondo.
Una casa, una costruzione di legno,
Eretta come cimitero di alberi,
Composta come capanno di cadaveri,
Come pergola di morti, –
Per chi dei mortali è comprensibile,
Per chi dei viventi è accessibile,
Se dimentichiamo l’uomo,
Che l’ha sgrossata e costruita?
L’uomo, sovrano del pianeta,
Signore del bosco di legno,
Imperatore della carne di vacca,
Geova di una casa a due piani, –
Egli anche il pianeta governa,
Egli anche i boschi abbatte,
Egli anche la vacca sgozzerà,
E pronunciare una parola non può.
Ma io sono uniforme,
Ho messo in bocca un lucente zufolo,
Ho soffiato e, docili al respiro, le parole
Volate nel mondo, sono diventate oggetti.
La vacca mi ha cucinato la polenta,
L’albero ha letto una favola,
E le morte casette del mondo
Saltavano come fossero vive.

Al mercato

Nikolaj Zabolockij

Nikolaj Zabolockij

 

Ornato di vasi e di fiori
Il vecchio mercato apre i battenti.
Qui le donne sono grasse come botti,
Coi loro scialli di bellezza mai vista,
E i cetrioli sembrano colossi,
Che zelanti nuotano nell’acqua.
Brillano come sciabole le aringhe,
Coi loro occhietti mansueti,
Ed ecco, sotto la lama del coltello
Si contorcono come serpi.
E la carne, dominio dell’ascia,
Giace come rosso buco,
E il salame come sanguigno intestino
Nuota nello sghembo braciere,
E gli va dietro un cane ricciuto,
Annusa l’aria col naso a digiuno.
La bocca come una porta aperta
E la testa come una scodella,
E le gambe vanno con precisione,
Incurvandosi lentamente a metà.
E adesso? Con aria addolorata
S’è fermato per caso, alla cieca,
E le lacrime come chicchi d’uva
Dagli occhi volano nell’aria.
Gli storpi se ne stanno in fila.
Uno suona la chitarra.
Il moncone di gamba, fratello di perdite,
Lo mantiene al bazar.
E sul moncone la stampella
Sembra un fiasco di legno.
Un altro mostra un germoglio di mano,
Egli se ne vanta, lo agita,
Ha un dito slogato, un invalido,
E squittò il dito, come una talpa,
E scricchiolò l’incrocio dell’osso.
E il viso si trasformò in un ditale.
E un terzo, arricciati i baffi,
Guarda come eroe bellicoso.
Su di lui nell’orologio del bazar
Sciamano le mosche della carne.
In un bidone siede sulle ruote,
Nella bocca è celato il forte volante,
In una tomba le braccia si seccano,
In un torrente dormono le gambe.
Per destino a questo eroe
E’ rimasta la pancia con la testa,
E la bocca, grande come un manico,
Per guidare l’allegro volante.
Là una vecchietta con l’occhio fisso
E’ seduta su una sedia tutta sola,
E un libro in magici buchetti
(Per le dita cara sorella)
Canta gli impiegati di servizio,
E la vecchietta con le dita è lesta.
Intorno – bilance come mappamondi,
Brandelli di burro, grasso d’amore,
Esseri deformi come idoli pagani,
Nel denso sangue interessato,
E lo stridìo-preghiera di una chitarra,
E berretti pieni come tiare.
Come rame splendente. Non è lontano
Il momento in cui in una tana rischiosa
Lui e lei – lui ebbro, rosso
Di gelo, di canto e di vino,
Senza mani, paffuto, e lei –
Cieca megera, ballano affabilmente
Una stupenda danza-capricorno,
Tanto che crepitano le capriate
E sprizzano scintille da sotto i piedi!
E la lampada strilla come una marmotta.

Acquaforte

Nikolaj Zabolockij

Nikolaj Zabolockij

 

E risonò nella sala assordante:
“Dalla casa dello zar un defunto è fuggito!”
Il defunto per le strade fiero cammina,
Gli inquilini lo tirano per le briglie,
Con voce di tromba egli canta una prece
E le sue braccia al cielo solleva.
Occhiali ramati, montati su membrana,
Pieno fino al collo di acqua sotterranea.
Su di lui uccelli di legno con fragore
Chiudono le ali sui battenti.
E intorno fulmini, cigolio di cilindri
E il cielo arricciato – e qui
La scatola della città con la porta sbottonata
E dietro una lamina di vetro – il rosmarino.

Addio agli amici

Nikolaj Zabolockij

Nikolaj Zabolockij

 

Con larghi cappelli, lunghe giacche,
Coi quaderni delle vostre poesie,
Da tempo siete finiti in polvere,
Come rametti caduti di lillà.
Siete là dove non ci sono forme pronte,
Dove tutto è diviso, confuso, spezzato,
Dove al posto del cielo – solo un tumulo
E l’immobile orbita lunare.
Là, in un’altra indistinta lingua
Canta un coro di silenziosi insetti,
Là con una lanternina in mano
Lo scarabeo-uomo accoglie i conoscenti.
State in pace, compagni miei?
Avete sollievo? Tutto avete obliato?
Ora per fratelli avete steli, sospiri,
Mucchietti di polvere, garofani.
Ora per sorelle avete radici, formiche,
Schegge di legno, piante di lillà…
E non siete più in grado di ricordare
La lingua del fratello rimasto in alto.
Per lui ancora non c’è posto là,
Dove siete scomparsi lievi come ombre,
Con larghi cappelli, lunghe giacche,
Coi quaderni delle vostre poesie.