a scuola non te lo insegnano non te lo dicono neppure i genitori ma loro niente, non te lo dicono e non ci provano neppure. danno importanza alle preposizioni semplici o a quelle articolate. a scuola non te lo spiegano proprio non vogliono e a casa ti chiedono quanto fa 9×9 o di trasformare 2000 metri in chilometri. a scuola non ti istruiscono impari invece che cos’è il superlativo relativo il santo dei santi il re dei re il cantico dei cantici ma il resto se lo tengono per sé. a scuola non vogliono informarti e neppure si sognano di darti la formula o per lo meno la regola. così è che quando incontri il desiderio di fottere gli altri tu sai solo che si tratta di un complemento con valore di specificazione oggettiva. Mary Barbara Tolusso (Pordenone, 1967), inedito
La notte fila liscia tranne quelle sere che si cede al ricordo che si dovrà morire su un letto come questo. Allora penso a quello che dicono gli stupidi che se c’è la morte io non ci sono. Ma dal nulla nasce la paura, quando non vedi non senti non pensi. Nessuna religione aiuterà il danno dei vivi, feroce o silenziosa nessuno potrà sottrarsi alla rovina. Dico al mio corpo animale di stare fermo, di non pensare. Nulla è più terribile più vero di questo tempo del ritardo, non c’è luce per gli indifferenti, tutto l’amore non dato, il tempo sprecato, niente che possa destarmi dal sogno, io dove sono, dovrei alzarmi andare a bere in compagnia, cercarti e dire: Tu per me sei pelle, una morte anticipata, insepolta, coagulata fino all’erezione. Mary Barbara Tolusso (Pordenone, 1967), da Disturbi del desiderio (Stampa2009, 2018)
La gioia di sapermi al riparo, ma non fu riparo allora la nostra vocazione di baciarci sotto le lenzuola. Di giorno ti aggiri sola davanti al mondo imbecille e pensi e muori. La gente parla, spiega, quello che fa il pittore in via Boltraffio, l’altro che ha messo in piedi una cantina, c’è anche chi ha fatto la galera, chi ha tentato il suicidio mentre cade la sera ti ucciderei io se potessi, ti caverei gli occhi nel letto, l’imperfezione, il difetto di quella stanchezza metrica di infanzia, la materia bianca, la morte mi moriva tra le braccia e quella volta sì bruciavo di passione cieca nella perfezione… non temere… non temere. Un altro uomo se ne va. Maio senza di te non ci so stare. Mary Barbara Tolusso (Pordenone), da Disturbi del desiderio (Stampa2009, 2018)
Non ci aspettavamo che accadesse di nuovo eppure è di nuovo nero come la pece il cielo, partorisce mostri di oscurità la notte, spauracchi del sonno e della veglia ostruiscono il passaggio, minacciano, chiedono riscatti. Non temere Lestrigoni e Ciclopi… Non temere, diceva il poeta, Ma io temo i loro odierni simulacri e soprattutto quelli che li muovono. Temo quanti si arruolano per salvarci da un inferno che aspetta solo noi, quanti predicano una vita corretta e salutare con l’alimentazione forzata del pentimento, quanti ci liberano dall’ansia della morte con prestiti a vita di anima e di corpo, quanti ci rinvigoriscono con stimolanti antropovori con elisir di giovinezza geneticamente modificata. Come una goccia di vetriolo brucia l’occhio così una fialetta di malvagità può avvelenare innumerevoli vite, “inesauribili le forze del male nell’uomo” predicano da mille parti gli oratori, solo che i detentori della verità assoluta scoprono sempre negli altri il male. “Ma la poesia cosa fa, cosa fanno i poeti” gridano quelli che cercano il consenso su ciò che hanno pensato e deciso, e vogliono che ancora oggi i poeti siano giullari, profeti e cortigiani. Ma i poeti, nonostante la loro boria o il loro sottomettersi ai potenti, il narcisismo o l’adorazione di molti, nonostante il loro stile ellittico o verboso, a un certo punto scelgono, denunciano, sperano, chiedono, come nell’istante cruciale chiese l’altro poeta: più luce. ** e la poesia non riadatta al presente la stessa opera rappresentata da anni, non salmeggia istruzioni sull’uso del bene, non risuscita i cani morti della metafisica. Passando in rassegna le cose già accadute la poesia cerca risposte a domande non ancora fatte. Titos Patrikios (Atene, 1928), da La resistenza dei fatti (Crocetti, 2007) Poeta greco, appunto, Patrikios ha sviluppato un rapporto originale con il mito classico e la tradizione. È sempre stato attento alla pericolosità di certi richiami, agli allettamenti che potrebbero deviare dalla più cruda realtà. Ne “I simulacri e le cose” – tratta da “La resistenza dei fatti”, edito nel 2000 – i riferimenti alla tradizione sono diversi (da Omero a Kavafis a Goethe), ma non sono mai sfruttati per abbellimenti letterari, vengono invero costantemente applicati (adattati) al presente, a vicende attuali. Ritorna quindi quella concretezza che non impedisce la capacità evocativa. Il poeta riesce a farne una questione di poetica e tecnica, togliendo per esempio le sovrastrutture simboliche (nella vita e nella scrittura). Nella poesia di Patrikios c’è infatti metafora, ma mai simbolismo e ciò disinnesca ogni inganno, anche nelle cose più ordinarie. In questo testo per esempio, viene perfettamente sviluppata la tematica della lucida consapevolezza dell’incoerenza, anche nei suoi tratti positivi, nel movimento necessario che sottostà alla vita e alla scrittura. E lo fa con esempi concreti, evidenziando anche la questione arte/vita, scevra di qualsiasi moralismo, restituendo alla poesia il suo giusto valore, a prescindere dal poeta. Mary Barbara Tolusso
Del resto, e per una quantità di ragioni nessun periodo del passato ci è tanto ignoto quanto i due o tre decenni che dividono i nostri vent’anni da quelli di nostro padre. Perciò può essere utile ricordare che nei tempi cattivi si fanno orribili abiti e pessime poesie seguendo gli stessi principi dei tempi buoni; e che ogni giovane uomo si impegna a distruggere i buoni risultati di un’epoca nella convinzione di migliorarli. Sempre, invece, hanno adorato il sole, la salute e il culto degli eroi non è mai stato chiamato «sottouomo». Ma stavolta, diciamolo, le cose si mettono al meglio, c’è uno spirito di riforma e di felice coscienza. I tempi non sono più quelli del babbo, uno sboccio, un’aurora, una piccola resurrezione. Non si sentono cani ululare, né si vedono palizzate sulle strade. Oltre la siepe un’orma stanca risale, brilla sola. Mary Barbara Tolusso (Pordenone, 1967), Il freddo e il crudele (Stampa, 2012)
Che vuoi che ti dica sotto la coperta ruvida di un albergo a ore? C’è tutto quello che abbiamo immaginato e ora la camicia rattrappita, la spalliera in legno, l’orologio vicino a un riflettore congeda la falsità delle eccedenze, come fosse possibile dire “può darsi”, “casomai”, “forse un giorno” si potrebbe tornare in viale XX settembre e divenire quel che siamo. Mary Barbara Tolusso (Pordenone, 1967) da Il freddo e il crudele (Stampa, 2012)
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