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Andando

Luigi Pirandello

Luigi Pirandello

A ciò che addietro nell ‘andar ti lasci
non badi ancora, poi che ti concede
di guardar oltre il tempo e innanzi fasci
di speranze t ‘accende, a cui tu miri.
Vai, cosí rischiarato, ove d ‘un sogno
la tentatrice immagine t ‘attiri
o lo sprone ti spinga d ‘un bisogno,
e non ti senti la catena al piede.
Nulla intanto hai davanti: un ‘ombra vana,
un inganno mutevole, una meta
che quanto piú t ‘accosti, s ‘allontana.
Ma non ancor per te scoccata è l ‘ora
di volgerti a guardar dietro, nel breve
cammin percorso, e innanzi si colora
l ‘avvenir tanto piú quanto piú lieve
è il passato che ancor non t’inquïeta.
Pur verrà giorno che ti sentirai
cosi forte chiamar dietro le spalle
donde non puoi far piú ritorno mai,
che per te diverrà fievole, muto
ciò che innanzi t ‘invita, e da te stesso
a guardar ti porrai quanto hai perduto.
Le rose che ti risero da presso
e non curasti, ecco or lontane e gialle.
E con le terga ormai verso il futuro
e gli occhi assorti nel cammin percorso
andrai, men lieto quanto piú sicuro,
riallacciando ognor piú da lontano
le fila che correndo avrai lasciate
sospese, fino a che non apra il piano
d ‘improvviso una fossa alle gravate
membra, e insieme al rimpianto od al rimorso.

Casa Romita

Luigi Pirandello

Luigi Pirandello

Casa romita in mezzo a la natia
campagna, aerea qui, n su l’altopiano
d’azzurre argille, al cui sommesso invia
fervor di spume in mare africano,
te sempre vedo, sempre, da lontano,
se penso al punto in cui la vita mia
s’aprì piccola al mondo immenso e vano:
da qui-dico-da qui presi la via.
Da questo sentieruolo tra gli olivi,
di metastro, di salvie profumato,
m’incamminai pe’l mondo, ignaro e franco.
E tanto, ò fiorellini schivi.
Tra l’erma siepe, tanto ho camminato.
Per ricondurmi a voi, deluso e stanco.

Elevazione

Luigi Pirandello

Luigi Pirandello

Com ‘aquile avvolgenti a un brullo monte
corone ampie con l ‘ali poderose,
larve di gloria in torno a la mia fronte
si raccolgon superbe, e scudo a l ‘onte
mi son dei fati avversi e de l’irose
passïoni terrene ed altre cose
le virtú richiamando, accorte e pronte.
Fermo l ‘animo a loro, io vo seguendo
questo acuto desio che mi conduce
de la ragione a le piú alte cime.
E con molto pensier, sereno, ascendo,
che d ‘esser nato la perfetta luce
mi consoli sul vertice sublime.

I saltimbanchi

Luigi Pirandello

Luigi Pirandello

Bum! Bum! Bum! Fuori ragazzi!
Ecco in piazza i saltimbanchi!
Spiccan salti, lancian lazzi;
vien dal rider male ai fianchi.
Bum! Bum! tuona la grancassa,
la trombetta rauca strepe.
Ecco, fermasi chi passa,
altri accorrono e fan siepe.
A slargare il cerchio intorno
della banda il capo or gira,
suona in faccia a tutti un corno,
ed indietro ognun si tira.
Quella banda si compone
d ’un pagliaccio infarinato
con in testa un berrettone
bianco, lungo, acuminato;
d ’una donna macilente,
dalla strana acconciatura,
che con voce sonnolente
indovina la ventura;
v ’è un ragazzo capelluto,
che a far ridere si sforza;
ma il meschino è sordo e muto
saltator di prima forza,
Viene infin Lulú, ch ’è un cane
barboncin di buona scuola;
par che dica: “Oh Dio, c ’è pane?”
ma gli manca la parola.
Questa banda pel paese
già da un mese in giro va,
con la fame ell ’è alle prese
ma com ’andar via non sa.
È domenica. Ha piovuto,
e bagnata è ancor la piazza;
Roro, il bimbo capelluto,
e Lulú, cane di razza,
al comando del pagliaccio
spiccan salti in sú e in giú.
“Roro, lèvati su un braccio!
Lulú, opla! opla! sú”
Roro or via di tra ’ ginocchi
si fa uscir la testa; caccia
fuor la lingua, strizza gli occhi,
si contrae tutta la faccia.
Ognun ride, a ognun fa pena,
ma nessuno un soldo dà
a quel bravo Roro appena
col piattello in giro va.
Muto ei guarda quella gente
senza cuor, guarda la mano
tesa indarno, e mestamente
la reclina piano piano.
Dai balconi ah non scappate
anche voi, cari bambini!
Se v ’han fatto rider, date,
date un soldo a quei tapini!

Il Globo

Luigi Pirandello

Luigi Pirandello

Ecco il globo: una palla di cartone,
che gira attorno a un asse interno. Gira…
Tracciato di color varii, si mira
il confin proprio d ’ogni nazione.
Questo, l ’Oceano Atlantico; ed è mare
quanto azzurro si vede. Questa soma
di grinze qui, montagne: le Alpi. Roma
è questo punto che pare e non pare.
Chi lo direbbe a prima giunta? Eppure
vi son uomini grandi, anzi immortali,
in questo baloccuccio; grandi mali
e grandi beni e grandi affetti e cure…
Io però me lo tengo tra le mani,
e lo faccio girare con un dito.
Stupido giuoco! Lo facciam finito?
Preparo il finimondo per dimani.

La fune

Luigi Pirandello

Luigi Pirandello

Mastri funaj, faccenda curïosa
la vostra: andar cosí sempre all ’indietro,
con quella fune che da la callosa
mano vi nasce; e non mutar mai metro.
Però, a pensarci, tutti quanti poi,
mordano i soli, piangano le lune,
modo diverso non teniam da voi:
facciam la vita come voi la fune.
La ruota, onde s ’attorce il non sicuro
fil che ci regge, è sempre nel passato;
e con le spalle andiam verso il futuro,
se nulla mai di antiveder ci è dato.
Mastri funaj, rapida troppo gira
la ruota mia, troppo s ’attorce questa
mia fune e troppo la mia man la tira.
Ne faccio un cappio e vi caccio la testa.

La maschera

Luigi Pirandello

Luigi Pirandello

Io non ti prego, o vuoto cranio umano,
che il gran nodo mi voglia distrigar.
Follie d ‘Amleto! Io sto co ‘l Lenau: è vano
de la vita la Morte interrogar.
A che avventarti questa malacia
che in van mi rode, in stolidi perché?
Non vo ‘ sapere a qual mai uom tu sia
appartenuto – ora, appartieni a me.
Tu nulla forse m ‘avresti insegnato
quando un cervel chiudevi ed un pensier;
ora m ‘insegni a ridere del fato,
e a vivere la vita – unico ver.
Vogliam noi oggi, amico teschio, un poco
rifarci de le noje aspre del dí?
Io ho pensato di prenderci gioco…
Amico teschio, indovina di chi?
De la luna, di lei… Non ti se ‘ accorto
ch ‘ella ti fa da un pezzo l ‘occhiolin?
Anch ‘ella è morta, come tu sei morto,
e vi potreste intendere un pochin.
Quando sorge dai monti e le gioconde
acque del Reno incande e le città,
co ‘l primo raggio suo ti circonfonde,
da la finestra, e a contemplarti sta.
Vogliamo la comedia de la vita
rappresentar stasera tutti e tre?
Io tu e la Luna (sarà presto uscita);
la miglior parte la riserbo a te.
Ho comprato una maschera di cera,
che un volto finge di donna gentil,
una parrucca che par chioma vera,
e velo nero d ‘ordito sottil.
Vedrai bel gioco! Scambio de la Luna,
temo di te non m ‘abbia a innamorar…
Tu sembrerai un ‘andalusa bruna
a le carezze del raggio lunar.
E allora dal mio tavolin vicino
un bel canto d ‘amore io comporrò;
e quindi a te, facendo un grave inchino,
al lume de la Luna il leggerò.
Tu certamente non me ‘l loderai,
e allora io ti dirò con molto ardor:
“Bella fanciulla, che lode non dài,
lodi io non voglio, ma voglio il tuo cor”
Né sí, né no. Ma in questo caso, è noto,
val sí il tacere; ed io cadrò al tuo piè,
e ti dirò… Tu ridi, o teschio vuoto
che sciocca vita! io rido al par di te.

Le fatiche del vento

Luigi Pirandello

Luigi Pirandello

Molto ha da fare il vento con le nuvole
frivolo annento senza disciplina.
Piace al sole con pompa e con ossequio
d’esser accolto in cielo ogni mattina:
e fin dall’alba ecco il vento in servizio
a preparargli una regal cortina,
a cui con estro immaginoso ingègnasi
a dar novella foggia; e ne combina
spesso di belle assai: rosse, con aurea
frangia o d’argento con purpurea trina.
Sul vespro poi, nuovo apparato! Gli uomini
soglion tra loro chiamar pazzo il vento:
forse perchè si pensa che non debbono
costar fatica alcuna, alcuno stento,
que’ suoi servizi; ma, se gli si sbandano
le nubi, e il Sol se ne va via scontento?
Se ogni villan vuoI acqua sul proprio
campicello, e lui su pel firmamento,
gira e rigira, non trova una nuvola,
quando poche sarebbero anche cento?

Pianto di Roma

Luigi Pirandello

Luigi Pirandello

E come in campo o per sentieri schivi,
di tra le selci mal commesse, l ’erba
dunque sorgea per le tue vie? Dormivi,
tu Roma, allora, chiusa in te, superba,
e sol quei fili d ’erba erano vivi.
Dell ’alto sonno suo parea volesse
fruir la Terra; e già destava, sotto
le selci, le sue zolle a lungo oppresse
dal tramestío o del viver tuo trarotto.
Oggi, un fil d ’erba; doman, qui, la messe.
Altre città cosí, dove fermento
fu già di vita e allo splendor compagna
la gloria, si riprese ella: Agrigento!
Soli or due templi in mezzo alla campagna:
null ’altro. Alberi e zolle. Anima, il vento.
Ah, meglio, o Roma, se anche in te compiuto
la terra avesse l ’opera sua lenta!
Salve sol le rovine, e il resto un muto
campo! Meglio se fosse all ’aura intenta
un popolo di querci qui cresciuto!
Un popolo di nani ora t ’ha invasa
e profanata, osando, o Roma, dentro
il tuo grembo divino la sua casa,
covo d ’ignavia, erigere, e far centro
te d ’ogni sua miseria. E l ’erba ha rasa;
l ’erba che, mentre t ’obbliavi assorta
nel tuo gran sogno, timida spuntava;
l ’erba che certo non sarebbe corta
sempre rimasta al pari dell ’ignava
turba che la divelse. Ah, di te morta,
meglio le querci, o Roma, e il faggio e il pino
alto stormenti avrebber nella notte
favellato al commosso pellegrino,
sacri fantasmi suscitando a frotte
dal tuo mistero: bosco, tu, divino.
Ostia per voi, Ostia per voi, pezzenti
nani, bastava. La grandezza enorme
di Roma come non vi fe ’ sgomenti?
Sia della Terra la Città che dorme!
Un bosco. E sopra, l ’ala ampia dei venti.

Sogno di Natale

Luigi Pirandello

Luigi Pirandello

Era festa dovunque: in ogni chiesa, in ogni casa:
intorno al ceppo,
lassù; innanzi a un Presepe,
laggiù; noti volti tra ignoti riuniti in lieta cena;
eran canti sacri, suoni di zampogne,
gridi di fanciulli esultanti, contese di giocatori…
E le vie delle città grandi e piccole, dei villaggi,
dei borghi alpestri o marini,
eran deserte nella rigida notte.
E mi pareva di andar frettoloso per quelle vie,
da questa casa a quella,
per godere della raccolta festa degli altri;
mi trattenevo un poco in ognuna, poi auguravo:
Buon Natale