Gelide parvenze, la vita acre dei segni conosco. Non è finito lo spazio. Io mi corrompo. Non so l’aurora quale il ladro del tempo rapido senza scampo. È murmure il suo sonno a una risposta a sommo di una tomba nascosta che ti trasporta, e, di trasporto in trasporto, è il suono dell’essere felice, gioia non tersa calma nel suo fondo. E se nel suo velo un corpo dietro un passo senza peso vede, triste io ti domando. I cieli sono sciupati, emersi dentro un raggio. Nell’isola che li contiene è una rondine felice.
Fuga di pensieri lontana. Mi percuote un’onda fugace dentro una dolcezza non vana di ultimi pensieri non miei, segreti neri non veri angosciosi. Quanto ho disperso mi guarda, mi grida o mi sgrida. Lontano mi risveglia in un grido e mi guida sopra una riva, nei teneri tuoi occhi, perduta fuori di mano. Ho perduto ciò che non sapevo e custodivo gelosamente, quando angeli stanchi sulla cima mossa dormente degli alberi fredda non odono, nel freddo velo buio scarno che spira nella mattina secca a ponente. Vieti pensieri, rapidi occhi voi passaste e viveste un’ora sola. Un sordo brivido svapora dai miei sentimenti nei tenui tuoi teneri occhi dormenti.
Figure immaginarie che germina l’anima per vederle partire in un mare di sogno. Siamo legati alla vita da sottilissime vene come ad un mare pauroso che sempre abbuisce. Ci levighiamo colla speranza sottile di conoscere le cose a fondo, di traghettare sulle nostre spalle l’ombra della nostra morte sull’altra riva ed essere così immutabili ed eterni al livello desiderato.
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