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Sporco di latta

Les Murray

Les Murray

 

In verità ti dico: Non
mi aspetto l’eternità. E so
che nessun verso vince la morte.
Cerco appena un segno
un ritmo che mi ridia
l’impercettibile respiro della terra.
Forse i capelli di Maria
sorella di Marta
che m’asciugano i piedi.
Perché tutte le poesie sono mortali
e quel che resta è forse
un profumo di nardo. E niente più.
Traduzione di Giulia Lanciani

 

Poesia n. 223 Gennaio 2008
Numero speciale 20 anni
500 Poesie sulla poesia

Crocetti Editore 2008

 

 




Scivoli e planate scintillanti

Les Murray

Les Murray

 

Dopo aver inchiodato i pannelli allentati
del garage di lamiera
Peter il carpentiere cammina dritto
su per la scala,senza mani,
e abbottona i baveri del tetto.

Ora il suo peso leggero è sulla casa
sopra la testa,e poi ridiscende
portando lunghe strisce di verde e irta
erba Alpine,un tessuto di radici,fine come pelo
che ci è cresciuto nelle grondaie di metallo.

Piantata dagli uccelli o presa dal vento
ha passato vent’anni lassù,
nutrita a polvere di nuvole,a lavaggi
di ferro splendente,a detriti di nidi
in cui sono anche nati alberi alti un palmo.

Ora è un garbuglio per terra. E il bucato
gocciola doppi menti di peso colorato
sotto i passi,batti e ribatti,
su e giù per le sovrapposizioni,ad aggiustare
le case biplano d’Australia.

Pressione

Les Murray

Les Murray

 

Un uomo con la faccia neutra
nella grande migrazione
stringe la valigia lucida
mentre sta in fila alla dogana:

Per cortesia(sì,lei)apra la valigia.
Magari non avrà capito.
Si spicci,La apra!Muoversi!
Guardare in giù con occhi assenti non migliorò le cose.

Ditegli di aprire la valigia!
le lingue alle sue spalle facevano pressione.
Stringeva la sua borsa,ottusamente riluttante.
Ditegli di mettere la valigia sul bancone!

Scattarono lucchetti,lacci caddero a terra tagliati
e nella valigia non c’era niente.

La foresta di eucalipti

Les Murray

Les Murray

 

Dopo l’ultimo steccato fatiscente

rincasare, per me, è entrare nella foresta di eucalipti.

Un campo di battaglia antico, assorto:

brandelli di armatura, protezioni,

collari spaccati sparsi sul terreno.

Nuove piante spuntano dalle vecchie:

limone e ocra sorgono dal grigio

ovunque, nella foresta di eucalipti.

Una pista nell’ombra, per chilometri,

tra cortecce dure come acciaio:

profondità che ti comincia tutta intorno

senza ragione.

È come un ampio porto qui, con armamenti

infiniti tramutati in foglie, pali

involti in vele spruzzate,

un esercito ignoto accampato da secoli.

Eucalipti presi nella piena

del torrente, ciascuno alto grazie all’altro.

Quello, fiorito, è immerso dentro un bagno

d’api, ma il sangue caldo

s’addormenta, a mezzogiorno.

È quella l’ora delle streghe

nella foresta di eucalipti.

Il fogliame crea una pozza a strati:

foglie su foglie trattengono biliose

e raggrinzite l’acqua del suolo.

La banda dei pappagalli, più in alto.

Basi di pietra sbriciolate dai tronchi.

Luci non umane. Giganteschi

macchinari in abbandono. I misteri

della foresta di eucalipti.

Delizia per me, tuttavia, ai torrenti furtivi,

e salute per me, sotto candele e pettini di banksia(*).

Un vento

sfrega i rami alti sui sentieri;

le montagne sono onde nell’oceano

della foresta di eucalipti.

Ora guardandomi indietro, ora guardandomi attorno,

vado per la mia strada;

essenze mi sgombrano la mente,

e, là più in alto, il suono della pioggia.

Perché ho rinnegato le passioni

della mia vita? Vedere il lampo

innalzarsi dalla foresta di eucalipti.

L’ipogeo

Les Murray

Les Murray

 

Sotto i giardini mobili di questo centro commerciale

giù per corridoi in cemento

fino a un piano di acqua piovana,

un lago nero che balugina tra moli,

illuminato artificialmente, senza vento né profondità.

Fasci rari di luce diurna

tremolano alla propria base. Come l’acqua si muove, le poche

macchine parcheggiate quaggiù

paiono beccheggiare. In ogni cosa

si tende quello schianto silenzioso,

quell’onda che persiste nel cemento.

La scatola di cartone

Da Lorenzo polpette al naturale

è naufragata in un fradicio scempio.

Detersivo Olandese appoggia sull’alto

identico muro. Ancora galleggia

Farina Autolievitante, ed i carrelli

pendono come arpe rovesciate

da cui cola argento.

Cosa aiuterà i credenti ma non praticanti

a sopportare la pace? L’acqua di superfice che stilla

in questo oltretomba tintinna melodiosa, ora,

ora fa cerchi nel nulla.

I giovani che scendono la rampa

si fermano, rumorosi, al margine dell’acqua.

Il Verde di tendenza

Les Murray

Les Murray

 

Il denaro solo un mezzo ai nostri fini?
No. Noi siamo termini nella sua logica.
Il denaro è un alieno.

Senza di lui,a milioni mangiano rifiuti.
anche il denaro può morire di fame
ma così moriamo anche noi per lui,
e di chi è il servitore allora?

Le sue forme più deboli sono in maschera sul retro:
ritratti a incisione a tinte tenui
di re,gente di successo,donne col berretto frigio,
signori della guerra che han messo sulle carte nuove nazioni –

Ma il denaro non s’incontra mai nudo in giro.
Carte di credito,metallo,semplici numeri,
elettronici,in elenchi incolonnati
sono solo sue espressioni,
e noi siamo i genitali del denaro.

Più invisibile è il denaro,
più vasta e veloce la sua azione,
che ci baratta con i centri commerciali,
che ci riscrive come città e stile.

Se fossi re,quanto spesso
uscirei a testa e croce?
Solo una volta ogni due
davvero?Con tutte le mie teste tagliate?

Nei nostri sogni di veglia il denaro è sempre protagonista,
ma nei nostri sogni del sonno
è strano e raro.

Come ha fatto il denaro a conquistare vita
lontano da poesia,ideologia,religione?
Non ha voluto le nostre anime.

Il significato dell’esistere

Les Murray

Les Murray

 

Eccetto il linguaggio, ogni cosa

conosce il significato dell’esistere.

Gli alberi, i pianeti, i fiumi, il tempo

non conoscono altro. Lo esprimono

in ogni istante come universo.

Persino questo corpo

idiota lo vive in parte

e avrebbe in esso piena dignità,

non fosse che per la libertà ignorante

della mia mente, che parla.

Il futuro

Les Murray

Les Murray

 

Niente, in fondo. Molta fantascienza

ci è ambientata, ma non ne tratta. Così le profezie.

Non piega gli steli al millefoglio. Il cristallo è uno specchio.

Anche l’uomo che abbiamo inchiodato

di vedetta a un albero ha saputo dirne poco;

giusto che sarebbe venuto il male.

Ne vediamo, per convenzione, un pezzo piuttosto breve,

ma anche quella è una congettura. E ogni congettura

non sa seguire il suo snodarsi.

È un buco nero

da cui non arriva alcuna radiazione.

Le ordinarie e magnifiche strade delle nostre vite

si portano per paesaggi urbani e selvaggi,

o per pendii franosi, improvvisi, fino a un baratro

dove non ci sarà che quello che ci abbiamo

spedito, compattato, orbitante – eccetto forse noi, per poterlo vedere.

Si dice che ne vediamo l’inizio. Ma da qui non c’è che cecità.

La fossa scavata che inghiottirà il nostro presente

ci rende ciechi per quel sole che si può immaginare

ordinario, mentre splende calmo

dal punto più lontano, per altre persone

nella loro giornata tipo. Un giorno in cui

ogni nostro ritratto, ideale, rivoluzione,

paio di jeans, deshabillé

si farà stranamente malinconico. Impossibile

vedere quella gente, salutarla patetico.

Comincio, tuttavia: “Quand’ero vivo” – e già mi sono girato

ritrovandomi a guardare un allegro picnic,

le donne in mussola e guanti

a gambe coperte, secondo decenza,

gli uomini con barba e gilè,

lunghi sigari, bei pantaloni,

a rilassarsi sotto una veranda

in pietra. A Ceylon o a Sydney.

E mentre guardo, so che sono tutti

svaniti, ciascuno nel suo giorno,

con cuscino, bottiglie, nebbia,

con tutti i futuri sognati progettati,

scendendo in quell’abisso cui tutto si avvicina;

come l’uomo sull’albero, sono svaniti nel futuro.

Il buio

Les Murray

Les Murray

 

L’ultimo interno (*) è il buio. Insonnolita paura della notte inoltrata,

che prova ogni passo come in acqua fonda, e se alla fine

arrivi ad aprire il frigorifero, non la luce ti avvolge, ma il freddo.

Ossa ammaccate ti persuadono che le tue guide, ora,

sono equilibrio e gravità – puoi inciampare, ma non cadrai lontano.

Densa cautela circospetta, come di preda. Il buio elargisce

a sua discrezione urti improvvisi. Il buio non ha argomento

ma è pieno di teoria. Le sue tregue: l’assenza di sorprese.

Niente che ti tocca. O abbracci fortuiti che sedano il panico.

Il buio è una benda per occhi sofferenti, gradevole al colore,

splendido nei polmoni dei tenori. È anche ciò che solo genera

le costellazioni, ginza (**) sfavillanti, lune deserte, neve brillante,

pioggia notturna che batte sulle tegole. È questo il buio: tutta messa in scena.

Niente che abbia cause o risultati. Il buio è un unico interno

che permette solo vita interiore. E nasconde ciò che la cattura.

*: Ultima parte di un trittico intitolato Tre interno.

**: Quartiere di Tokio.

Diabetica

Les Murray

Les Murray

 

Un uomo tossisce come una scatola
e accende una luce gialla
per seguire la sua vescica

fuori, sopra la murata
del letto. Sbadiglia all’insù
cercando di non punteggiare il pavimento

di goccioline di pipì non trattenuta.
L’orologio sul comodino
morde un’ora che odia.

Zucchero, il ristoratore malato
tenuto a bada estraendo aghi.
Sciroppo di sangue, che taglia le gambe,

icore del vescovo
il cui nome è su una scuola
perché lui non poteva generare.

Come molti studiosi dagli occhi bianchi come latte
e agricoltori dal fiato corto
sopra a miliardi di persone in tombe dolci.