Sento i tuoi passi nella sala, sento in ogni nervo i tuoi rapidi passi che nessuno nota altrimenti. Intorno a me soffia un vento di fuoco. Sento i tuoi passi, i tuoi amati passi, e l’anima fa male. Cammini lontano nella sala, ma l’aria ondeggia dei tuoi passi e canta come canta il mare. Ascolto, prigioniera dell’oppressione che consuma. Nel ritmo del tuo ritmo, nel tempo del tuo tempo batte il mio polso nella fame.
Quieta voglio ringraziare il mio destino: mai ti perdo del tutto Come una perla cresce nella conchiglia, così dentro di me germoglia dolcemente il tuo essere bagnato di rugiada. Se infine un giorno ti dimenticassi – allora sarai tu sangue del mio sangue allora sarai tu una cosa sola con me – lo vogliano gli dei
Nessun cielo di una notte d’estate senza respiro giunge così profondo nell’eternità, nessun lago, quando le nebbie si diradano, riflette una calma simile come l’attimo – quando i confini della solitudine si cancellano e gli occhi diventano trasparenti e le voci diventano semplici come venti e niente c’è più da nascondere. Come posso ora aver paura? Io non ti perderò mai.
Il meglio che possediamo non lo si può dare, non lo si può dire e neanche scrivere. Il meglio del tuo animo niente lo può lordare. Risplende profondo laggiù per te e per Dio solamente. È il colmo della nostra ricchezza che nessun altro possa raggiungerlo. È il tormento della nostra miseria che nessun altro possa averlo.
Come posso dire se la tua voce è bella. So soltanto che mi penetra e che mi fa tremare come foglia e mi lacera e mi dirompe. Cosa so della tua pelle e delle tue membra. Mi scuote soltanto che sono tue, così che per me non c’è sonno nè riposo, finché non saranno mie.
Certo che fa male, quando i boccioli si rompono. Perché dovrebbe altrimenti esitare la primavera? Perché tutta la nostra bruciante nostalgia dovrebbe rimanere avvinta nel gelido pallore amaro? Involucro fu il bocciolo, tutto l’inverno. Cosa di nuovo ora consuma e spinge? Certo che fa male, quando i boccioli si rompono, male a ciò che cresce male a ciò che racchiude. Certo che è difficile quando le gocce cadono. Tremano d’inquietudine pesanti, stanno sospese si aggrappano al piccolo ramo, si gonfiano, scivolano il peso le trascina e provano ad aggrapparsi. Difficile essere incerti, timorosi e divisi, difficile sentire il profondo che trae, che chiama e lì restare ancora e tremare soltanto difficile voler stare e volere cadere. Allora, quando più niente aiuta si rompono esultando i boccioli dell’albero, allora, quando il timore non più trattiene, cadono scintillando le gocce dal piccolo ramo, dimenticano la vecchia paura del nuovo dimenticano l’apprensione del viaggio – conoscono in un attimo la più grande serenità riposano in quella fiducia che crea il mondo.
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