Fugge l’isola E la fanciulla torna a scalare il vento e a scoprire la morte dell’uccello profeta Adesso è il fuoco sottomesso Adesso è la carne la foglia la pietra perduti nella fonte del tormento come il navigante nell’orrore della civiltà che purifica la caduta della notte Adesso la fanciulla trova la maschera dell’infinito e abbatte il muro della poesia.
Di mia madre nulla saprei dire – come ripeteva rimpiangerai un giorno, quando non ci sarò più, e come non credevo né nel “più”, né nel “non ci sarò”, come mi piaceva guardare, quando leggeva un romanzo alla moda, sbirciando subito l’ultimo capitolo, come in cucina, reputando che questo non è per lei il luogo adeguato, prepara il caffè domenicale, oppure, ancora peggio, i filetti di merluzzo, come attende l’arrivo degli ospiti e si guarda allo specchio, facendo quella faccia che la proteggeva efficacemente dal vedere realmente se stessa (cosa che, pare, ho ereditato da lei, assieme ad alcune altre debolezze), come poi disinvoltamente disserta di cose che non erano il suo forte, e come io scioccamente la stuzzicavo, come in quella occasione in cui si paragonò a Beethoven facentesi sempre più sordo, e io dissi, crudelmente, ma sai, egli aveva talento, e come tutto mi perdonava e come io lo ricordo, e come volavo da Houston al suo funerale e in aereo veniva proiettato un film comico e come piangevo di riso e di rimpianto, e come non ero in grado di dire nulla e continuo a non esserlo.
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