Nella parte settentrionale del mondo ho trovato un rifugio nella parte ventosa, dove gli uccelli, volando giù dalle rocce, si riflettono nei pesci e scendono a dar di becco fra i gridi su una superficie di screziati specchi.
Io ero solamente ciò che tu toccavi, quello su cui – notte fonda, corvina – la fronte reclinavi tu. Io ero solamente ciò che tu là in basso distinguevi: sembiante vago, prima, e poi molto più tardi, tratti. Sei tu ardente, che sussurrando hai creato la conchiglia dell’udito a destra, a manca, là, qui. Tu che nell’umida cavità, tirando quella tenda, hai messo voce, perché potesse te chiamare. Cieco ero, nulla più. Tu, sorgendo, celandoti, hai dato a me la facoltà di vedere. Si lasciano scie così, e si creano così mondi. Spesso, creati, si lasciano ruotare così, elargendo regali. E, gettata così, in caldo, in freddo, in ombra, in luce, persa nell’universo, ruota la sfera e va.
Vanno per il mondo i pellegrini. Mutili sono, gobbi, affamati, malvestiti. I loro occhi sono pieni di tramonto, i loro cuori sono pieni di aurora. Dietro di loro cantano i deserti, balenano i lampi, le stelle sorgono su di loro…
Colloquio con un celeste. Qui sulla terra dove cadevo in estasi o in eresia dove, scaldandomi nei ricordi degli altri, vivevo come un ratto nella cenere, dove peggio d’un topo rodevo il dizionario in corpo otto di una lingua che a me è materna e a te straniera e dove, grazie a te, fisso dall’alto me stesso, non scorgendo in nessun modo un luogo da toccare con il verbo, non dominando più la gola, soffocando per un cenno del capo d’una tonitruante carogna, umettandomi le labbra, invece di castalio umore, di saliva, come la torre di Pisa inclinandomi sulla carta, di notte, io ti rendo il tuo dono: non l’ho nascosto, non l’ho sperperato in festini, e se l’anima avesse un profilo, tu vedresti che essa è solo un calco del dono doloroso, che più nulla possiede e che è rivolta verso di te, insieme al tuo dono.
Metti in serbo per le stagioni fredde queste parole, per le stagioni dell’ansia! Come il pesce sulla sabbia, l’uomo sopravvive: se si strascina agli arbusti e s’alza su gambe incerte e storte e va, come un rigo dalla penna, nelle viscere stesse della terra. Esistono leoni alati, sfingi col seno di donna, angeli in bianco e ninfe del mare: a colui che sostiene sulle sue spalle il peso di buio, caldo e – oso dirlo – dolore, sono più cari degli zeri concentrici nati da parole gettate.
I Dirò: sei morta? con una vita di ventiquattr’ore! Troppa amarezza in questo scherzo del creatore. Riesco con sforzo a pronunciare “vita” nell’unità di data di nascita e di consunzione fra le mie dita: mi confonde obbligare una di queste grandezze nello spazio di un giorno.
Disfano, i giorni, il cencio da Te fatto: Si stringe a vista d’occhio, sotto mano. La verde trama e’ presto diventata Celeste, grigia, e poi marrone, stinta. E ai bordi e’ lisa, come di batista. Mai i pittori descrivono la fine Del viale. A quanto pare si ritira, A lavarlo, il vestito della sposa, E anche il corpo non si fa piu’ bianco. Sia che secchi il formaggio, o manchi il fiato. Ossia: l’uccello e’ un corvo, di profilo, Ma in cuore e’ un canarino. E’ che la volpe, Quando l’azzanna, semplice, alla gola, Non sta a badare se e’ sangue o tenore.
Le farfalle dell’Inghilterra settentrionale danzano sulla malerba sotto il muro di mattoni di una fabbrica morta. Dopo il mercoledì arriva il giovedì, eccetera. Il cielo è arroventato, e i campi bruciano. Le città sanno di ammuffito panno a strisce, le dalie soffrono la sete. E la tua voce – “Ho conosciuto tre grandi poeti. Ognuno di loro era un gran figlio di cane” – risuona nelle mie orecchie con nettezza inattesa. Rallento il passo, sono
Chinati, ti devo sussurrare all’orecchio qualcosa: per tutto io sono grato, per un osso di pollo come per lo stridio delle forbici che già un vuoto ritagliano per me, perché quel vuoto è Tuo. Non importa se è nero. E non importa se in esso non c’è mano, e non c’è viso, né il suo ovale. La cosa quanto più è invisibile, tanto più è certo che sulla terra è esistita una volta, e quindi tanto più essa è dovunque. Sei stato il primo a cui è accaduto, vero? E può tenersi a un chiodo solamente ciò che in due parti uguali non si può dividere. Io sono stato a Roma. Inondato di luce. Come può soltanto sognare un frammento! Una dracma d’oro è rimasta sopra la mia retina. Basta per tutta la lunghezza della tenebra.
a M.B. Non dimenticare mai come sgorga l’acqua nella banchina, e come è elastica l’aria. Accanto i gabbiani gridano, e i panfili guardano nel cielo, e le nubi volano in alto, come uno stormo di anatre. Possa nel tuo cuore dibattersi vivo e tremare come un pesce un frammento della nostra vita a due. Possa sentirsi il fruscio delle ostriche, e restare in piedi un cespuglio. E possa la passione che affiora fino alle labbra aiutarti a capire, senza l’aiuto di parole come la schiuma delle onde del mare, per arrivare alla terra, generi alte onde. 1963
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