Ma Tu quando verrai? Un giorno stendendo la mano Sul quartiere dove abito, Al tempo maturo che non spero più davvero; Nell’attimo d’un tuono Strappandomi con terrore e imperio Dal mio corpo e dal corpo pien di croste Dei miei pensieri-immagini, ridicolo universo; Affondando in me la tua sonda spaventosa, Il trapano temibile della Tua presenza, Elevando d’un colpo sul mio fango La Tua dritta cattedrale insormontabile; Proiettandomi non uomo, Obice, obice nella verticale, Verrai, Verrai, se esisti, Adescato dal mio imbroglio, La mia odiosa autonomia; Uscendo dall’Etere, da dove non importa, da sotto il mio io sconvolto, forse; Gettando il mio fiammifero nella Tua dismisura, E addio, Michaux. Se no che cosa? Nulla? Mai? Dimmi, tu che sei la Grande Posta, dove vuoi dunque finire?
Un rumore monotono non per forza calma. Una trivella non calma nessuno, tranne forse il capomastro. Eppure, è tra i rumori monotoni che avete più possibilità di trovare la calma. Quel che è piacevole nel rumore del vento che soffia su una foresta di pini, è che questo rumore non ha spigoli, è tondo. Ma non ha nulla di lugubre. (O forse calma perché ci porta a immaginare un essere considerevole e bonario, incapace di uscire del tutto dai gangheri?) Tuttavia non bisogna guardare troppo la cima dei pini mossi dal forte vento. Perché se arrivassimo a immaginarci seduti sulla cima, in un ondeggiamento tale, potremmo, e con molta più naturalezza che se fossimo su un’altalena o in un ascensore, per via di quello strambo e splendido movimento lassù, sentirci trascinati, e pur sforzandoci di non pensare, di certo ben lungi dal voler meditare su quell’oscillamento, saremmo perennemente occupati, ci sentiremmo sempre sulla vetta vacillante di un pino, non potremmo più scendere a terra.
Te ne vai senza di me, mia vita. Tu scorri. Ed io ancora attendo di fare un passo. Porti altrove la battaglia. Mi abbandoni così. Io non ti ho mai seguita. Non vedo chiaro nelle tue offerte. Il poco che voglio, tu non lo porti mai. Per questa assenza, io desidero tanto. Tante cose, anche l’infinito… Per colpa di quel poco che manca, che tu non porti mai.
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