Bisogna lavare i morti. Sigillare con gesti esatti e teneri il silenzio. Le mura che hanno eretto screpolano il tempio delle loro mani, luce implacata del tempo. Bisogna vestire i morti coprire le grate delle vene dove il sangue è l’asfalto oscurato del buio, non lasciarsi distrarre dalle domande degli specchi e dal rumore degli spiccioli nelle tasche. Bisogna vegliare i morti le vaste zone d’azzurro nell’acqua chiusa dei loro occhi lo stormo sbiadito delle ultime parole. E’ necessario. Sia così. Da:Desinenza in nero(inedita)
Dicevunu: to matri è sutta a terra e ju che jnocchia minnicati no’ puteva sapiri da musura rutta da vita. N’to culleggiu c’era ciauru d’aranci munnati e di scocci di mennula. Dicevunu: ora scattii ju non m’arraggiava non chianceva taliava i ‘ggnuni do cuttigghiu. Do finistruni videva macari i sbalinchi unni anniava u ciumi. Dicevunu: to patri è sutta a terra. E ju m’urriuddai a iddu ma addoppu, quannu a sira allincheva a casa e a litturina da circum pareva abbarsamata arredi ‘e sbarri. Me patri quannu mossi non m’arrivau a diri nenti. Da: N’zuppilu n’nzuppilu (goccia a goccia) inedita
Dimmilla/ na parola ca mi chiovi u munnu su non parri. Aoggi è bbonu: agghiorna prestu intra i to razza. Da: N’zuppilu n’nzuppilu (goccia a goccia) inedita
D’istati a me casa u ciauru di zammù cattigghiava i mura. U sciroccu s’allampava ‘nta tenna ranni unni n’ariddu rossu saliava i so schigghi. Non dummeva mai. Da: N’zuppilu n’nzuppilu (goccia a goccia) inedita
Forse una foresta nel sangue incisa nella corteccia coi nomi di tutti – spore di ossa dilagate sulla bianca pietra della curva delle maree. E la fine sarà indivisibile per queste cellule metà parola l’altra freddo perché non c’è tregua nella morte. Pulsano intanto i quasar miliardi di anni fa. Da:Desinenza in nero(inedita)
I gesti di mio padre cucivano la notte. Le aste dei miei occhiali a braccia conserte dormivano altrove. E il mondo era sospeso tra i miei piedi nudi e le sue mani tra l’occhio e la tempia nel suo bacio muto che non dura ancora. Da: Desinenza in nero (inedita)
Il freddo arrotola la sera. E’ l’erosione del giorno compiuta nella tua voce: la città silenziosa come un fossile antichissimo un coagulo orizzontale di luci e silenzio. Fuori infuria il buio. Lo tengo nelle mie pupille cosicché i tuoi occhi non soffrano la notte e il tuo sonno non si spezzi. Da:Desinenza in nero(inedita)
Postilla ad una lettera ad un amante morta La bocca declina senza nessuna verità la parola addio. Si disgrega il cielo in un frastuono di polmoni. La carne è ormai preda dell’umiltà dell’argilla. Per sorte non ci tocca più salvezza, nessuna parola griderebbe la nostra non-figlia assediata dal silenzio. Da:Desinenza in nero(inedita)
La città ha una luce affilata, i suoi rami sono i capillari del cielo. Gli incroci hanno nostalgia della neve e i cortili d’estate inseguono le divinità dello scirocco oltre i palazzi e le edicole notturne. I morti chiamano invano dalle tombe d’arenaria, gettano una pietra all’ombra del primo passante smaniano per un gesto per la voce che li restituisca all’odore del pesce e al rumore delle tazzine nei bar. Dalle lave dove scorre il sangue della ginestra, dal verde estremo dei giardini la città si apre sui muri che estinguono il mare. All’alba, quando conta lo schianto dei cavalli lanciati sui controviali, la città sogna finalmente il fiume, traccia sul cemento dei moli i nomi di chi resta, le latitudini e il vento di ogni viaggio e supplica per tutte le partenze mentre sulle panchine le sillabe dei baci sbiadiscono in un filo di mani. Da:Desinenza in nero(inedita)
La sera sono le molecole della tua voce nel giro del mio sangue. La sera è questo passo dentro la mia carne. La sera è questo grumo di luci alle finestre, il momento sui marciapiedi, – l’abat jour di mia madre dolce scheggia nel petto. La sera è questo tramonto che dissangua la strade è il mio passo fermo, i tendini rilassati, gentili. La sera è questo martello nei miei polmoni che è il tuo respiro quando mi manca. Da:Desinenza in nero(inedita)
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