Ho conosciuto un tale di San Donà di Piave che voleva raccontare la storia di… BIANCANAVE. Cacciato con vergogna scappò fino a Terontola e cominciò a narrare la storia di… CENERONTOLA. Di là fuggì in Sardegna si fermò a Bordigali e cominciò la storia del… MATTO CON GLI STIVALI. Girò tutta l’Italia, la Francia e l’Ungheria sempre a sbagliare storie e a farsi cacciar via. E ancora gira e spera ancora di trovare qualcuno che abbia voglia di starlo ad ascoltare, qualcuno che capisca che sbagliando, per prova, con una storia vecchia si può fare una storia nuova.
Chi non ha casa e non ha letto si rifugia in sala d’aspetto. Di una panca si contenta, tra due fagotti s’addormenta. Il controllore pensa: “Chissà quel viaggiatore dove anderà?” Ma lui viaggia solo di giorno, sempre a piedi se ne va attorno: cammina, cammina, eh, sono guai, la sua stazione non la trova mai! Non trova lavoro, non ha tetto, di sera torna in sala d’aspetto: e aspetta, aspetta, ma sono guai, il suo treno non parte mai. Se un fischio echeggia di prima mattina, lui sogna d’essere all’officina. Controllore non lo svegliare: un poco ancora lascialo sognare.
Sulla neve bianca bianca c’è una macchia color vermiglio; è il sangue, il sangue di mio figlio, morto per la libertà. Quando il sole la neve scioglie un fiore rosso vedi spuntare: o tu che passi, non lo strappare, è il fiore della libertà. Quando scesero i partigiani a liberare le nostre case, sui monti azzurri mio figlio rimase a far la guardia alla libertà.
Indovinami, indovino, tu che leggi nel destino: l’anno nuovo come sarà? Bello, brutto o metà e metà? Trovo stampato nei miei libroni che avrà di certo quattro stagioni, dodici mesi, ciascuno al suo posto, un carnevale e un ferragosto, e il giorno dopo il lunedì sarà sempre un martedì. Di più per ora scritto non trovo nel destino dell’anno nuovo: per il resto anche quest’anno sarà come gli uomini lo faranno.
C’era una volta un povero Zero tondo come un o, tanto buono ma però contava proprio zero e nessuno lo voleva in compagnia. Una volta per caso trovò il numero Uno di cattivo umore perché non riusciva a contare fino a tre. Vedendolo così nero il piccolo Zero, si fece coraggio, sulla sua macchina gli offerse un passaggio; schiacciò l’acceleratore, fiero assai dell’onore di avere a bordo un simile personaggio. D’un tratto chi si vede fermo sul marciapiede? Il signor Tre che si leva il cappello e fa un inchino fino al tombino… e poi, per Giove il Sette, l’Otto, il Nove che fanno lo stesso. Ma cosa era successo? Che l’Uno e lo Zero seduti vicini, uno qua l’altro là formavano un gran Dieci: nientemeno, un’autorità! Da quel giorno lo Zero fu molto rispettato, anzi da tutti i numeri ricercato e corteggiato: gli cedevano la destra con zelo e premura (di tenerlo a sinistra avevano paura), gli pagavano il cinema, per il piccolo Zero fu la felicità.
C’era una volta un lago, e uno scolaro un po’ somaro, un po’ mago, con un piccolo apostrofo lo trasformò in un ago. “Oh, guarda, guarda – la gente diceva – l’ago di Garda!” “Un ago importante: è segnato perfino sull’atlante”. “Dicono che è pescoso. Il fatto è misterioso: dove staranno i pesci, nella cruna?” “E dove si specchierà la luna?” “Sulla punta si pungerà, si farà male…” “Ho letto che ci naviga un battello”. “Sarà piuttosto un ditale”. Da tante critiche punto sul vivo mago distratto cancellò l’errore, ma lo fece con tanta furia che per colmo d’ingiuria, si rovesciò l’inchiostro formando un lago nero e senza apostrofo.
Se andrete a Firenze vedrete certamente quel povero ane di cui parla la gente. È un cane senza testa, povera bestia. Davvero non si sa ad abbaiare come fa. La testa, si dice, gliel’hanno mangiata… (La ” c ” per i fiorentini è pietanza prelibata). Ma lui non si lamenta, è un caro cucciolone, scodinzola e fa festa a tutte le persone. Come mangia? Signori, non stiamo ad indagare: ci sono tante maniere di tirare a campare. Vivere senza testa non è il peggio dei guai: tanta gente ce l’ha ma non l’adopera mai.
S’io fossi il mago di Natale farei spuntare un albero di Natale in ogni casa, in ogni appartamento dalle piastrelle del pavimento, ma non l’alberello finto, di plastica, dipinto che vendono adesso all’Upim: un vero abete, un pino di montagna, con un po’ di vento vero impigliato tra i rami, che mandi profumo di resina in tutte le camere, e sui rami i magici frutti: regali per tutti. Poi con la mia bacchetta me ne andrei a fare magie per tutte le vie. In via Nazionale farei crescere un albero di Natale carico di bambole d’ogni qualità, che chiudono gli occhi e chiamano papà, camminano da sole, ballano il rock an’roll e fanno le capriole. Chi le vuole, le prende: gratis, s’intende. In piazza San Cosimato faccio crescere l’albero del cioccolato; in via del Tritone l’albero del panettone in viale Buozzi l’albero dei maritozzi, e in largo di Santa Susanna quello dei maritozzi con la panna. Continuiamo la passeggiata? La magia è appena cominciata: dobbiamo scegliere il posto all’albero dei trenini: va bene piazza Mazzini? Quello degli aeroplani lo faccio in via dei Campani. Ogni strada avrà un albero speciale e il giorno di Natale i bimbi faranno il giro di Roma a prendersi quel che vorranno. Per ogni giocattolo colto dal suo ramo ne spunterà un altro dello stesso modello o anche più bello. Per i grandi invece ci sarà magari in via Condotti l’albero delle scarpe e dei cappotti. Tutto questo farei se fossi un mago. Però non lo sono che posso fare? Non ho che auguri da regalare: di auguri ne ho tanti, scegliete quelli che volete, prendeteli tutti quanti.
S’io fossi un fornaio Vorrei cuocere un pane Così grande da sfamare Tutta, tutta la gente Che non ha da mangiare Un pane più grande del sole Dorato profumato Come le viole Un pane così Verrebbero a mangiarlo Dall’India e dal Chilì I poveri, i bambini i vecchietti e gli uccellini Sarà una data da studiare a memoria: un giorno senza fame! Il più bel giorno di tutta la storia.
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