A mio modo li ho amati, al punto da pagare il fucile in moneta sonante, studiare la strategia l’intera notte. Non mi lamentai per il vento freddo o l’estenuante ascesa alla torre; neanche la lunga attesa e il rancido afrore dei piccioni fiaccarono la mia pazienza.
Quando, dopo un po’, apparvero, nel fulgido sole d’inverno, a mezzogiorno non lesinai sforzi per calibrare il fucile, posizionare la delicata croce del mirino in linea con le loro tempie o i petti.
E quando si misero a correre, dopo che il primo crollò stecchito nella neve molle, mai persi la calma, ma li presi uno a uno, come un gatto coi gattini.
Ci reputiamo stabili, concrete. Nessuna rilevante caducità, pure avemmo la nostra quota di arrampicatori sociali.
Fummo ciò che fummo, su noi si poteva sempre contare per restare ferme a produrre, o riprodurci.
Conservatrici in politica: né avide né ribelli, solo noiose. Che accadde? Fu ambizione o vanità, volare troppo vicino al sole quasi a scrollarci di dosso questo dedalo di radici, lo stigma del posto?
Sia come sia, ci bruciammo. Ci fu un’esplosione, una luce accecante. Saltarono i trasmettitori si sciolsero. Uno squarcio s’aprì nel firmamento e con noi sparì tutto ciò che esiste.
Marlon Mendizabel accende la TV dopo un duro giorno di trattative. I bambini giocano ai suoi piedi, la partita di football in onda sul canale americano. Tutta la mattina
incontri coi dirigenti alla fabbrica di Coca-Cola per risolvere lo sciopero. La Società ne ha assunti tre nuovi, ufficiali dell’esercito, a dirigere stoccaggio, risorse umane, sicurezza.
Sei occhi lo vogliono morto, sei nuovi occhi laser negoziano la sua scomparsa pezzo a pezzo. Prima a svanire è la voce che tenta con passione, con logica, ma nulla di quel che
dice sembra avere il minimo effetto. Poi le mani, riprendendo la discussione, in sostegno alla voce, vacillano, sconfitte a un soffio dalla meta.
Presto le sole braccia che possiede per arrendersi, quelle pure svaniscono. S’adagia sullo schienale, uomo invisibile, un desaparecido, ma la famiglia non lo nota. Niente di quanto fatto o detto
gli farebbe perdere la faccia, ma quella pure svanisce insieme col resto. Non è il solo. Ventisette leader sindacali della Confederazione Nazionale del Lavoro
sono stati sequestrati; due mesi dopo altri diciassette, omicidi confermati dalla Conferenza dei Vescovi del Guatemala. Marlon vuole vivere per i suoi figli,
ma è troppo tardi. Delle 208 ossa nel suo corpo, metà sono tornate in casse da imballaggio. La dieta di paura gli contrae lo stomaco. I figli guardano lo spot della bibita analcolica
in TV, tifando per il camion della Coca se quello rivale lo distanzia. Vorrebbe dir loro che non si tratta di gusto, ma di etica, che il camion contiene le ossa di 100.000
guatemaltechi ammazzati, trucidati da squadroni della morte al soldo del governo e di grandi compagnie. Invece, stende una mano invisibile sulle loro teste e offre una muta preghiera per la loro salvezza.
Il cuore di Marlon si allarga tanto da colmare la stanza finché anche quelli alla TV se ne accorgono e interrompono l’attività per guardare e ascoltare il messaggio di quel cuore in comunione
con Dio. I giocatori di football si tolgono i caschi e restano in piedi a testa china; gli speaker, per una volta, sono a corto di parole. Fuori Dallas, il camion della Coca accosta, luci
lampeggianti. Si apre una portiera e quelle ossa formano un ampio ponte che si stende fino a Città del Guatemala. Bambini lo attraversano, mani unite, cantando. Niente li può fermare.
È difficile, adesso, parlare di queste cose. Descriverei invece come la luce piove nei cortili, al mattino, su panni stesi ad asciugare. Quel bimbo nel vano della porta che si volge al suono delle persiane, fra il ridente e il corrucciato. E i capelli di Carmen che colmano il finestrino di dietro della Peugeot.
Quindici finestre nel poster di Lonquen, un volto in tutti, tranne uno. Campesinos dall’Isola di Maupu torturati e sepolti vivi nella calce. Padre e tre figli. Riquadri di testimonianza dell’agente Valenzuela: un gruppo ucciso alla base aerea, altri gettati in mare da elicotteri, stomachi squarciati.
Ogni affisso un micro-condominio, inquilini che fissano giù in strada qualche fatto, un corteo, un tramonto. Altri otto a Valparaiso che avrebbero dovuto guardare il mare.
Ho visto una buganvillea nella vetrina di un ristorante vicino al luogo dell’agguato; e una vetrina con un cactus spinoso in fiore, un maiale di coccio e una sfilza d’uccelli in vimini che con grazia roteano nel vento.
Perch・sorridono, queste facce in cornice sanno qualcosa che noi ignoriamo? Dietro loro bianco perpetuo, luce brillante al termine del tunnel. Forse siamo noi i perduti e loro vegliano su noi da qualche mondo perfetto, chiedendosi la ragione di tanto scompiglio, perché queste maschere di sofferenza.
Quando le rompono gli occhi le immagini restano. Il suono d’elicottero si perde. Il mare lecca il rosso dal suo stomaco.