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Sirena

Francesco Dalessandro

Francesco Dalessandro

Avverrà in questo terso mattutino
cielo di novembre dopo i morti anche la mia
redenzione? la vite risanguina sul viale
vena il verde del muro lo insanguina
la siepe incurabile muore, vacillante
volontà mi sospinge dopo mesi, una sirena
dopo l’altra clamanti insistenti vocalizzi,
nel fresco mattino sereno a fare versi:
clemente quiete nel giardino assolato
e solitario dopo il sonno e la notturna
pioggia, indugio in minuzie ma non devo
disperare se immagini sfocate coglie il miope
sguardo: un nido caduto guscio vuoto
annerito dall’acqua gocce-luci sui tralci
dell’edera brillanti verdi tenere o dorate
escrescenze aghi e foglie la pozza l’invaso
d’acqua morta e liquami il filare dei lauri
il rastrello e la forbice l’erba tagliata,
una lumaca vi traccia scie d’argento,
la giornata si scalda le nostre tartarughe
passeggiano caute sulla terra umida
il traffico scorre, una piena anche la nostra
vita, passano cirri e stagioni noi restiamo
abbandonati nei giorni deserti rubricati
nelle vecchie istantanee di un album
che a sera la mente risfoglia, l’età è mondo
e passato una pozza d’acqua scura
dove trote argentate crescono i ricordi
nuotando e ingrassando sfuggenti
l’esca e l’amo del presente della mia
poesia.
da LEZIONI DI RESPIRO

TRIUMPHUS CUPIDINIS

Francesco Dalessandro

Francesco Dalessandro

Più sussurro che voce erano i versi
il trionfo di un eros che non conobbe
mai resa appagandosi solo se gli occhi
voraci si saziavano – complice la luce
matura del primo pomeriggio penetrante
dalle tende semichiuse nella camera guscio
vuoto in cui l’amore si accuccia nei giorni
estivi – del tuo corpo bruno di sole acre
di sudore e di sale quando stremata «lasciami
riposare» pregavi ma convinta e vinta
dalle carezze che la lingua ai tuoi golfi
umidi e colli prodigava ti piegavi
e ti aprivi per accogliermi ardente
brace languente cera…

Una Musa

Francesco Dalessandro

Francesco Dalessandro

La mia solita febbricola, una musa
casalinga e privata
così poco mondana ma non priva
di civiltà trastulla
la noia con le fragili forme di un’ansiosa
felicità, e con la tenera rosa ottobrina
ritorna la smania di vivere l’amore
giovanile la grazia perduta di un’età
passata, il tardivo pentimento la pudica
speranza, illusione nevrotica di un cuore
già stanco e incubo quieto d’ogni nata
mattutina dilezione, ma la sorte
solitudine adduce mentre calco claudicante
le scene di un mondo di nuovo avviato
all’autunnale sperpero di vita al desiderio
di morte, malinconica attesa che è carne
di futura mestizia carità che non consola,
nel giorno nato uguale e diverso diversa-
mente amato, l’inverno mio teatro
e osservatorio quando a sera anche l’inganno
mattutino si svela rivelandosi volgare
avanspettacolo giostra corteo funerario,
la verità rivelata e corrotta una profana
ascesa ai più infimi abissi del divino
amore, tempesta preparata a redimere
il deserto, una mano due tese a toccarsi
a tentare fortuna: cosa resta da volere
e da scrivere?

Le nuvole

Francesco Dalessandro

Francesco Dalessandro

Intanto che la sera
pianissimo e i rumori
della festa e le luci e
l’angustia per un ritardo
d’amore smorivano, da più
lievi brezze sospinte
sul campanile e le sette
……. tra stupore
e meraviglia con
movenze eleganti e
pigrissime giunsero
le nuvole.

Altra Neve

Francesco Dalessandro

Francesco Dalessandro

Neve di maggio: nel silenzio ottuso
dei sentimenti colse di sorpresa
e intirizzì cuori e ragioni, avvolse
il paese adagiato sulla bianca
costa del monte e che sopra la mobile
apparenza sembrava somigliare
a quell’esile nudo di ragazza
fiorito dal risveglio – l’uno a specchio
dell’altra (che con occhi ancora pieni
di sonno sorrideva) – o era miraggio
quel languore sfinito e abbagliante
il gelido mattino presto invaso
da un dolore più acuto del silenzio
e incessante, paziente, acuminato?
No, non era né inganno né morgana
invernale la mossa positura
che la luce dell’alba ghiaccia tenera-
mente baciava e faceva sua –
o se lo era nel fresco silenzio
della stanza era solo per il caldo
affanno della notte che il ricordo
riaccendeva – era il docile abbandono
del bianco sopra il bianco contro il muro
di luce oltre il suo fianco più reale
di un rimorso pudico e appena vero
se all’esultante aria del mattino
potrà svanire – simile al silenzio
diventato alla luce già frastuono.

L’Osservatorio – 1

Francesco Dalessandro

Francesco Dalessandro

Torna, Musa, coi mattini brumosi e torbidi d’autunno
coi vapori dai fossi dalle forre
fumiganti gli odori aspri i colori
densi del parco la luce come il cuore
intermittente; torna con lo scialo
dei platani sui viali coi voli di passo sull’oro
delle foglie; torna con la foschia –
tenue sudario disteso pigramente
sopra i tuoi colli, mia mortale
città, sull’acqua fosca dei tuoi fiumi
letali – col sole temperato di settembre
che la scioglie; torna, ritorna col passo
frettoloso che guida ai sottovia
della metro all’aria aperta col primo
nubifragio di fine estate – code
e ingorghi inestricabili di traffico
impazzito –, con l’ansia la pazienza
ai versi necessaria col loro lineiforme
stratificarsi, frecce scagliate dritte
al bersaglio
————
«ora non posso, se mai
fu possibile prima, esaurirmi in un fuoco
di lirica passione sfolgorare
in un brillio di breve e fatale
intensità (sebbene è vero l’esatta
misura sia di dieci dodici versi
o tutt’al più un sonetto come O dolce
selva solitaria perfetto di Giovanni
Della Casa), ho bisogno di un verso
liquido che fluisca naturale
con forma e suono acconci che narri districando
il groviglio dei sensi, di un senso
semplicemente chiaro nemmeno verità
ma ipotesi del vero che sia
ricco senza effusione e scarno senza
povertà: questo m’è necessario»;
————
che ne sia
capace o lo creda tu torna, mia Musa, col fresco
della sera col rosa della rosa ottobrina e solitaria
tornata a rifiorire nell’aiuola feconda del cortile
(dove si godono il calore della terra le mattine
umide due gattacci, l’indolente invecchiato fulvo maschio
e la femmina furba giovanilmente inquieta che mi guarda
diffidando e sfidandomi); col rosa fuoco torna
dell’occaso la sagoma oscura del parco le luci
del Forte, le prime a vedersi, e le finestre accese
su Pineta Sacchetti – avamposto borghese popolare
di Primavalle proletaria – dal fondo della curva
nascoste dai filari verdecupi dei pini dalle spente
acacie macchiaiole lungo i bordi del fosso e della
strada, immerse nell’indaco notturno che spaesa
il reale–
infine, Musa, vieni con l’affanno del nuovo
o la quiete serena che dà la tua franca
parola.

anniversario

Francesco Dalessandro

Francesco Dalessandro

del mattutino dolo stella, maligna
e sola ancora brilli quando il primo
raggio invade la penombra e nella stanza
alligna come la vite che nell’imo suolo
alla nemica sua cugina edera viva acqua
d’amore e luce di speranza contende o rade
tardive rose nell’aiuola e nel giardino
al sole appena tiepido aperte proclive
alla passione dei sereni ultimi giorni
di maggio: nel maggiore anniversario chiara
la beltà ne godranno le tue assorte
pupille e arse lo sguardo l’interna
pena che prepara la loro vespertina
pudica morte avvertirà nel raggio
che le avvolge e dora, vita che si arrende
all’amore e alla realtà della sua santa
consumazione

Cartagena, ultimo dell’anno 1987

Francesco Dalessandro

Francesco Dalessandro

Una giovane coppia dal crocchio
a concilio sull’estrema
punta dell’Arsenale spicca un
volo radente sulla tremula
baia – poi si separa: il maschio
si tuffa argenteo
dardo sui verdi flutti pilucca
l’acqua riascende chiama
la compagna; lei
vira in
rapido slalom tra sartie
di barche dolcemente
ondeggianti al riflusso
della marea, gli giunge sul fianco
destro l’incalza lo invita
a un gioco
amoroso di tuffi sul filo
d’estri leggeri, in punta
d’ali planando su una cala
della rada; qui nel
primo cerchio dell’ombra
si dànno di becco –
poi con pigro
slancio tornano in seno
alla famiglia.
————
Anche la coppia
che il fuori tempo dei giorni
festivi avvicina e
divide ecco, spenta la sera
nel paseo solitario
e leggero, torna al colloquio
fervido per la Calle
Mayor – spinta a una notte
di pura lussuria all’ansiosa
lena dei sensi al colpo
risolutore.

Cronache della luce

Francesco Dalessandro

Francesco Dalessandro

alla tua fiamma appartiene la luce
del pensiero quando al risveglio spazia
acuminato quando concilia o produce
la consumazione del tempo i sensi sazi
poi che il segno la trama o delinea
come l’opera di un ragno il progetto
severo del fuoco quando affina
il legno intagliato e ne tempra il difetto
sono file filari di parole solchi e vene
nella terra arsa dell’anima che incisi
si fanno ordito e trama aeree nivee
scie nell’azzurro del cielo rotonde rive
salate del mare forme che se le svisi
perdi presto come tracce nella cenere
*
Traslucente al mattutino primo
lucore l’aria è lo specchio in cui misuro
e peso le offerte del nuovo mese: l’oro
vecchio della memoria e il metallo brunito
di un verso a lungo scarnito dalla punta
secca della matita l’ottusa lena e la boria
del mare i sassi levigati, contrappeso
a un futuro diverso e disadorno, un altro
anello nel cuore del pino la promessa
di nuove fioriture di rinascite…
illusioni elusive e vane regole invano
seguite, incapace d’ironia ti sei messa
su una cattiva strada mia
poesia –
————
comunque vada la verità
e il suo rovescio hanno un destino già scritto
segnato dal ritorno a casa dove ancora
il muro di verde d’anno in anno più alto
e fitto impedirà l’evasione il salto eliso
domestico o nostra caienna volontaria
deriva o secca “ma l’amore coltiva e
cura i suoi confini: il giardino la rosa
canina la siepe di lauro la sua
mondanità” – fiore proteso sull’infimo
abisso del mondo spolpato fino
all’osso e arso il verso come stella
alpina sopravvive alla mia
siccità.
*
“Berryman scrisse innamorato una centuria
e più di sonetti audaci appassionati –
suo modello Petrarca, un caso dubbio
secondo Pound – e li tenne per vent’anni
nell’incuria dei cassetti clandestini
come l’amore che vi era raccontato…”
anch’io (m’ero ripromesso di non scriverne
più) più per caso che per amore ne ho fatti
alcuni (doppi come ha due facce ogni umana
realtà: cuore e ragione corpo e anima
acqua e fuoco, così si dice) un colloquio
“o un conflitto?” con me stesso l’aspetto
estivo e fervido d’una cosa maturata
durante l’inverno l’aprirsi d’una porta…
“una scorta devota ai recessi della tua
mente (il poeta lui stesso stupisce del suo
ardire), come un’ospite inattesa si siede
e fa colazione insieme a noi sarà questo
la poesia? capire se il divario fra idea
e forma è dovuto a fortuite coincidenze
a fortunate interferenze a un disturbo
del pensiero o della visione; la tua prima
estate di vena dopo il Miles e un inverno
reticente, hai infilato i tuoi versi come i grani
di un rosario: a quale scopo?” non l’avevo
premeditato: furono il mio trastullo
e riposo dopo le calde mattine
sulla spiaggia le nostre soste per la spesa
come comuni villeggianti all’Ossostore.

II

Francesco Dalessandro

Francesco Dalessandro

Creatura mia leggera, ecco tornata
la stagione che tanto sospirammo
nei lunghi giorni gelidi d’inverno;
volubile e cangiante, primavera
è come il tuo sorriso di bambina
o l’umore che oggi ne disegni
in pioggia gronde rondini fratello
sole e sorella luna, tu e tua madre.
(Se siete voi le due figure ferme
sul prato perché io non sono al vostro
fianco? E chi guardate così assorte
avventurarsi o perdersi lontano
uscito dalla vista dietro il filo
del tetto? A cosa, a cosa stai pensando?)
E che pensi di chi ti siede – intento
a pensieri segreti tanto poco
adulti tanto più sentimentali
per un poeta che oggi dal dolore
i suoi succhi distilla come l’ape
il nettare dai fiori – di chi intento
più di te al tuo disegno ti siede
dietro quando ti volgi e lo guardi
seria senza sorridergli? E perché
ora alle tue figure aggiungi il male
umano di quell’ombra che s’allunga
sui giochi e sulla casa e li minaccia?
Di chi è la figura fuori vista
a cui l’ombra appartiene che vi volge
le spalle e s’allontana? E dove va?