Francesco d’Alessandro
Dove la luna tra
i frassini la riva
bianca rispecchia e la
quiete del lago, i fuochi
bassi d’autunno già
accendono.
Dove la luna tra
i frassini la riva
bianca rispecchia e la
quiete del lago, i fuochi
bassi d’autunno già
accendono.
L’ortensia che resiste nell’aiuola
arida dove ormai niente germoglia,
il suo cauto fiorire accanto al pino
nano è come l’amore. A volte sembra
destinata a morire: la minaccia
l’arsura, il troppo sole. Se un rametto
secco ne cade subito uno nuovo
e più forte ne sboccia. Basta poco
a salvarla: la mia, la tua attenzione.
Cresce un poco ogni giorno, inavvertita.
Perché tenerissima inclina
verdeviva gli steli dal-
l’aiuola ai vetri poi
che fa notte o gela,
la riscopri rinata
per miracolo all’ansia
mattutina.
Da dietro il tomboleto
rotondo apparsi due
gabbiani a volo teso radono
l’acqua appaiati, poi
s’alzano lenti a perdersi
tra nuvoli candidi, lesi.
Io cosa a quest’immagine
così trasparente ora leghi
non so dirti, né altro che s’affidi
alle minuzie di questa mattina
domenicale e perfetta che si compie.
È un intrigo del cuore la miseria
che arricchisce l’aiuola dove ruta
e rosmarino convivono. I trapianti
dei gerani amicali sono morti.
Li bruciò l’invernata fredda e ostile.
Fu dolorosa perdita, ma al primo
sole di aprile una piccola rosa
ci consolò. Con che cuore la colsero?
Crebbe al suo posto questa pianta grama.
Ma, guardala, per intima e umana
sua natura ci è affine. Come noi
non ha petali o spine…
T’invidio i versi semplici –
più che semplici, chiari – che trovi
nel quotidiano vivere la vita;
e l’estro canoro t’invidio
dei fanelli, da cui m’esclude l’ansia;
ma più ancora t’invidio lo stupore.
1.
Niente è mai come prima, le parole
che tendono al silenzio arano solchi
e nessuno avrà fiato
o gesti per colmarli
rimane sempre un graffio
nella coscienza e un dolore
2.
il tempo ora tace non c’è musica
a sciogliere la pietra che lo accoglie
e il dolore che era minimo è cresciuto
a poco a poco facendosi abisso
diventando silenzio senza cuore:
hai solo un ramoscello per salvarti
3.
a quel piccolo ramo sul dirupo
che apre l’abisso ti tieni aggrappato
e il vuoto è nel silenzio
dell’immagine viva nella mente
che si nega all’amore
perduto in qualche giorno di tempesta
4.
come abisso è l’immagine se nega
il luogo e silenzio la lingua
che rinnega la parola
se abisso è solitudine
il silenzio è l’abisso senza nome
elevato a presagio del doman
Perché l’ora mattutina tra le sette
e le otto regala discendendo Monte
Mario corrusco nel freddo nell’aria di fine
novembre pungente un pensiero di
morte,chiaro ma così vago e trasognato
da somigliare alla foschia fluttuante
sui profili dei templi delle chiese
su San Pietro e l’intera torbida mortale
città, da sembrare irreale?
Saranno queste cicale insaziabili di luce
e di sole – così esperte nell’uso
del loro strumento – sarà la stridente
melodia sempre uguale ma variata
nell’effetto – solo canto o richiamo
d’amore? – sarà il caldo pomeriggio
a destare il rimpianto sarà l’afa della casa
provocante una strana prostrazione,
sarà l’arte naturale del dolore – insinuante
anche in ore serene il ricordo e il rimorso –
sarà il suo peso lieve e insopportabile
questo studio d’insanabili incertezze
a darmi forza a permettermi nell’ora
in cui il giorno morirà di non morire ma scrivere?
Un mite azzurro
adesca voli, la
quaglia e il cuculo
duettano nella
sera che intanto
a passettini
viene.