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Modelli e archetipi

Flavio Santi

Flavio Santi

Mi chiedo: se arrivassero gli UFO…?
la civiltà ne sarebbe azzerata,
noi uova rotte per gran frittata.
Non dimentico neppure che
il Sole quando avrà bruciato tutto l’idrogeno,
non si spegnerà, diventerà più caldo,
brucerà elio, poi carbonio fino al ferro.
Quando arriverà il suo momento,
diventerà un’enorme palla di fuoco,
per un breve periodo di tempo,
giorni o settimane, sarà miliardi di volte più brillante,
tutta la sua materia si espanderà ai limiti del sistema,
inglobando tutti noi, poi si riunirà
fino a fare una stella a neutroni.
Io non credo di avere la forza
sufficiente per oppormi, la vita
scolerà su di me gocciolando
come un piatto sfregato da mani
guantate e sul filo del “perlopiù”
mi giocherò tutta la vita, io.
Allora innescherò un processo di autodistruzione
così sottile, che solo a risultato compiuto
si spalancherà e porrà fine
a tutte le vostre e mie perplessità.
Sarò più gentile di una bomba,
rovinerò tutte le strutture in silenzio
e come il vaiolo che si conserva solo
in provetta a Novossibirsk
contro di me non ci saranno antidoti.
Io non rido e questo mi fa classico e maturo.
Veleggiamo anche noi
verso i dardi più avvelenati.
Noia mortale infinita
che ti chiami vita,
io però non posso stare
senza te troppo a lungo.
Chi vive qui muore qua.
Che faccio adesso? mi sciolgo?
torno cellula?
Tre secoli ci sono voluti
per cavalcare quest’idea
e questo mio seme ghiacciato
e tre secondi per spegnerli, blip…
Questa è la fine.

Flavio Santi

(Alessandria, 1973), da Il ragazzo X (Atelier, 2004)

No, no nus capisin pui

Flavio Santi

Flavio Santi

No, no nus capisin pui
dicevi iò, proprit no nus capisin:
inutil nu’ stâ denant,
lu tente dome cui ch’al cjale,
sperant religion,
lis imaginutes de caroces,
chês parsore li’ cjadrees dai trenos.
E tu no tu as pui spazios:
dome angui
‘n miêc tun vagon e ‘n altri.
Flavio Santi (Alessandria, 1973), da Rimis te sachete (Marsilio, 2001)
No, non ci capiamo più
dicevo, proprio non ci comprendiamo:
inutile starci davanti,
ci prova solo chi guarda,
sperando religione,
i santini delle carrozze,
quelli sopra le poltrone dei treni.
E tu non hai più spazi:
solo angoli
tra un vagone e l’altro.

Comincio a crescere…

Flavio Santi

Flavio Santi

Dite che dovrei essere nato nel 1798:
vi rispondo di sì, che lo so,
ma cosa cambia adesso?
ho la stessa pelle di allora,
Monaldo si chiama Walter,
Adelaide Giusy, e non muta
l’immutabile tangenza del destino,
caro Giordani, di un continuo ora
senza sangue blu ma col telefunken,
non si muore più di vaiolo o scrofolosi, lo sa?
sono cambiati i sensi di marcia
delle carrozze, molti più segnali per strada
e i cocchi vanno veloci che è una meraviglia…
Da piccolo avevo una corporeità raminga,
impugnavo la bicicletta a ventisette dita io!
Senza dimenticare i piedi acronimi,
io ci facevo le parole crociate. Giovinezza
lene con questi stupidi (o stupiti?) giochi;
la grande scoperta
e rivalutazione del sagnue
tra i due e i tre anni;
le spugnette nella bacinella
dei quattro coi fianchi tiepidi. Bambino con schiuma:
sì rido, potrebbe essere
il titolo di un quadro di… Poussin?
Ma io guardo di sbieco
e non ricordo nessun pittore, solo
quel tipino che mi fece il ritratto
sul molo di Porto Recanati, tenendomi vicino
al foglio, nero su bianco, Biagio
lui il suo nome, Blaise
se fossi andato in Francia,
che so a Parigi, o nel Perpignan,
per me lui contava più di un padre
– avuto e mai rinnegato. Del resto -.
Uno così la giovinezza
gli avanza, non sa mai che farne:
non tua moglie però, Questo
mi verrebbe da pensare
vedendomi adesso
se io fossi un altro.
Tra i Duran Duran e Aristotele
mi si sono allungate
le unghie, da bimbo a ragazzino facendomi.
Petulco ero, come
si dice in buon idioma carducciano
e come da foto risulterebbe.
Ma non è bello – lo giuro –
non ridere quando tutti i bambini dell’asilo
ridono; non sospirare
quando tutto lo fa.
L’unico modo che paga
la mia diversità è l’arroganza
della debolezza, spergiurare
di essere diverso perché migliore.
Migliore nel darsi da fare,
a leggere, a tradurre, a mentire.
Scuola: mia sacra e unica famiglia.
Professori o padri da rispettare,
madri da amare,
sorelle da desiderare,
fratelli da rimproverare;
tutto il nucleo stretto e diretto
dell’amor proprio.

Flavio Santi

(Alessandria, 1973), da Il ragazzo X (Atelier, 2004)