III Piove forte stanotte in via Lugano Dalla fessura tra le persiane la luce scioglie diafana la sua carne goccia a goccia La strada ormai è un fiume che dilaga rotti gli argini come un film dietro il vetro Qualche macchina arranca verso il confine l’orecchio teso a inseguire il suo rombo inghiottito dai tuoni oltre il curvone verso Agra L’ora è estrema Nè vivere né morire Più non basta dire A ognuno la sua pena Stai con altri Ed è per sempre Sto col mio niente nel freddo del letto il sangue s’è gelato sulla strada Chiudo gli occhi e sei morta T’aspetto V Ho nutrito il mio amore col digiuno la voce dentro un miele d’api nel corpo della sabbia Sei della notte come la farfalla che tace e s’addormenta sulla foglia Al centro della luce era qualcuno invisibile bruno Tu cieca lo uccidevi lui rinasceva in sogno Rapace sveglio per sempre nei tuoi occhi morti ovunque e febbrilmente piagava la tua mano Dormi Dormivi verso il confine volando senz’ali nel buio non un suono L’amore è una canzone per nessuno Il resto è cenere che su cenere spegni Fumo VI Nella casa gialla al 19 ormai non abita nessuno Il cancelletto verde è arrugginito L’aiuola nel giardino una sterpaglia Il terrazzo ha il muro sbrecciato Marce le persiane cadenti come i denti d’un soldato di ritorno dalla prigionia Ma è stata casa mia mia ogni piastrella ogni porta ogni scalino La casa per un bambino è sempre quella coi sogni i nascondigli l’odore dei fratelli Si è inaridita per il troppo vento per il poco sole Come la rosa ferita del mio amore
I La calce sugli scalini Via Parini, 3 Io bambino fra muratori bestemmiatori nella pausa di mezzogiorno Mortadella e vino in canottiera Mosche sulle mani mosche e tafàni il sole dritto come un coltello Croci pendenti tra peli sul petto e scarponi nicotina unghie nere a graffiare l’aria Le bocche aperte se solo appariva dalla finestra socchiusa della toilette il bel seno della signora francese Si pettinava nuda allo specchio Altra vita Altro pane IV La mamma mi ha portato da Maria Grazia una sera fresca di fiori La casa è pulita ne rivedo gli odori la foto sul comodino lenzuola medicine Le mani dentro il silenzio La bara al centro aperta sul tavolo la camicetta bianca «Fabio, dalle un bacino…» Sembrava viva Dormiva VIII Le righe disegnate in terra col bastoncino confini di polvere tra il cancello e i garages davanti a casa Arrivavano dalle vie vicine altri bambini gladiatori in maniche corte sul terreno di gioco Palla avvelenata dopocena destrezza e mira nella frescura Papà e mamma al balcone ridere Lontana una televisione accesa Colpiti si moriva Liberàti s’usciva dalla gabbia di cartone Dolce sera Soffice palla-luna prigioniera
Plaza Mayor Beviamo un’ horchata seduti al “Negresco” mentre bambini giocano sul Palco della musica Nulla se non questo ricamo che fa nell’aria il tuo ventaglio alla notte che viene Non sono più parole forse è dell’eco d’un sogno che prosegue oltre te oltre me nel dire delle dita in questa fresca ferita che l’ombra non chiude che il vento dissigilla Poi d’improvviso planano sulle guglie della Cattedrale cicogne equilibriste tra arabeschi di pietra Guardi lontano tra te e la tua mano il blu versato in cielo dagli occhi lacrimosi fa la notte più chiara più muto il cuore E pulsa dalla gola un sangue che non giunge Persa la voce persa ogni memoria Tempo ignoto sospeso tra Segovia e La Granja Tutto ho di te Tutto mi manca da BOCCA SEGRETA
A V. Quando, l’orecchio sul tuo sesso, mi giungono navicelle i suoni Da dove? forse da un atollo, da un prato giovane forse da sotto i pantaloni blu di genova gettàti lì col golf sulla sedia di paglia, e gli occhi chiusi, le tende un brivido di stelle che ti scalda, mia farfalla. Ti bacio coi capelli fonte d’erba fiato e d’aria per pochi istanti interminabili sulla moquette rossa che ci sostiene il cuore accelerato ai fianchi uniti innanzi alla veranda come se sapessi come se non fosse stato mai, neppure nel pensiero, un fremito sussurro d’alga. Eccomi ancòra fuori dal tuo nome Con tutta la morte che mi resta. da LA DOCE FERITA
Luce ci acceca gli occhi sibilando su rocce aspre in fila senza fine La senti mugolare sgomitando nell’urlo del meltèmi a Parikìa Sospesa tra due sogni Paros canta nel bianco scintillante delle case Leggera come cuore di farfalla sorpresa di vederci ritornare Cammino sui miei passi galleggiando ferito di ogni guerra sfido il mare Nausicaa tu sei qui di questa terra… nel tempo dell’ibisco incantatore La notte cade a pezzi veneziana Naoussa è un altro sogno un’altra tana
Ha stanato il granchio dopo ostinata caccia La preda è nel secchiello La osserva la sevizia Via una chela poi l’altra « Papà, perché non cammina? » (così piccolo e il cervello già in rovina…) Poi d’accordo i due compagnucci tirano ciascuno dalla propria parte finché la povera bestia non s’apre in due Osservare il cuore senza corpo palpitare nella mano Primi rudimenti di crudeltà infantile Il padre applaude alla bella prova virile Seminiamo, seminiamo… TRADUZIONI
All’ombra degli ulivi come un fiore di terra rossa il ventre da Bisanzio Respiro sorseggiando senza amore del sidro non mi piace più di tanto Mi pesa addosso il giorno la mia croce La porto come un vecchio il suo ventaglio Ti ho conosciuto a Naxos dolce amore E più ti cerco più mi sei lontano
Il viso incollato al vetro del treno lui lo tieni negli occhi finché l’inghiotte la calura dei binari a Firenze Santa Maria Novella Ora siedi abbracciandoti i fianchi in un lutto d’arti istantaneo eterno L’umido d’occhi medicato dal kleenex sulle ciglia lunghe quella lacrima bambina già scesa e inafferrata che ancòra non scorre sul velo delle gote sole di taglio sui sandali occhi immensi grigi avidi d’aria Leggi Rilke nel pomeriggio che rimane la mano nervosamente affondata nel sacchetto delle patatine Mangi in fretta ferite Mordicchi sulle dita affusolate pellicine di dolore Mostri i denti bianchi dopo un sorso d’acqua lo sguardo accarezza i fogli annotati in tedesco s’espande s’arresta sospeso nel vuoto L’aria non si muove Domani l’esame – «Chiamerà dopo le nove?» Non sentire la voce Misuro annullata la distanza delle labbra Vorrei baciarti i piedi con moltiplicate bocche esserti seta fresca farfalla sul pube Già Milano Centrale Il corpo stancamente verso l’uscita da dietro rallentando poi più nulla Nel metrò Annie Lennox canta «How many times do I have to try to tell you…» e “Why” è una corolla d’ombra Ma scioperano le api tutto scioglie il vento come d’ali senza volo ignote Solo sapessi il nome morirei peggio questa nuova morte E ancelle nella saliva di ghiaccio devote
Un bien-être si actif qu’il était presque une joie emplissait le marcheur… … Une totale liberté naissait du départ Marguerite Yourcenar, L’Oeuvre au Noir. I Si andava in quattro o cinque in fila indiana l’estate coi ginocchi già sbucciàti La strada a un certo punto a c bifor v a non mi ricordo da che parte andammo II Davanti i temerari dietro gli altri le scarpe da ginnastica le biglie Qualcuno ritornava indietro prima e sui ginocchi già le cicatrici III D’un tratto quel sentiero restringeva fino ad un ponticello malridotto; oltre, frasche più fitte un’ombra un fosso il piede cigolava al primo passo la paura in quel batticuore da non dire da dimenticare sotto la maglietta IV Una palude bianca in una c a l m a senza vento o forse gialla, grigia mutevole a guardarla come il tempo Nessun marziano vi era o mostro o tigre del Bengala né l’uomo nero (viveva in fondo al sottoscala) V Eppure si muoveva come polenta chimica laguna «Non ci andare, che se ci cadi dentro…» pareva di sentirsi richiamare da g i ù nel fondo da una testa bruna VI I giochi più incoscienti a pelo d’acqua qualcuno già ostentava sigarette tra tremolanti denti e latta e muschio e dio e demonio in bilico nel limbo dei litigi VII Hai pianto non so quanto che le lentiggini sembravano più scure della palude stessa della nube Sul capo minacciava un temporale Angera era alle spalle un minareto la valle cieca del segreto principe delle genziane VIII Ne ritornammo forse che il naso s’era fatto freddo alle sei le prime gocce addosso che le sberle comunque le avremmo prese lo stesso Tanto valeva bagnarsi fino al midollo del segreto nelle tasche figurine e una lumaca scura grossa così per far paura alle bambine
Nell’Ade da ieri con trasporto a Rodi Sogno di Nembo Kid mangiato dai ladroni carezze e suoni uniti in un tuo schiaffo Solo e non soltanto uomo d’oggi Saffo dai piedi piccoli di geisha Le luci le nascondo agli occhi le lune me le mangio a morsi principe del cosmo su poltrona senza più velluto in punta al mondo Baciami senza bocca ti udirò senza orecchie senza corpo ferire Guardami dagli occhi con un sorriso azzurro Sono del sogno il sogno la tua clessidra anemica sabbiando da IL BOSCO DI VELATE
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