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VIA LUGANO

Fabio Scotto

Fabio Scotto

 

III
Piove forte stanotte in via Lugano
Dalla fessura tra le persiane
la luce scioglie diafana
la sua carne goccia a goccia
La strada ormai è un fiume
che dilaga rotti gli argini
come un film dietro il vetro
Qualche macchina arranca
verso il confine l’orecchio teso
a inseguire il suo rombo
inghiottito dai tuoni oltre
il curvone verso Agra
L’ora è estrema
Nè vivere né morire
Più non basta dire
A ognuno la sua pena
Stai con altri
Ed è per sempre
Sto col mio niente
nel freddo del letto
il sangue s’è gelato sulla strada
Chiudo gli occhi e sei morta
T’aspetto
V
Ho nutrito il mio amore col digiuno
la voce dentro un miele d’api
nel corpo della sabbia
Sei della notte come la farfalla
che tace e s’addormenta sulla foglia
Al centro della luce era qualcuno
invisibile bruno
Tu cieca lo uccidevi
lui rinasceva in sogno
Rapace sveglio per sempre
nei tuoi occhi morti
ovunque e febbrilmente
piagava la tua mano
Dormi
Dormivi verso il confine
volando senz’ali nel buio non un suono
L’amore è una canzone per nessuno
Il resto è cenere
che su cenere spegni
Fumo
VI
Nella casa gialla al 19
ormai non abita nessuno
Il cancelletto verde è arrugginito
L’aiuola nel giardino una sterpaglia
Il terrazzo ha il muro sbrecciato
Marce le persiane
cadenti come i denti d’un soldato
di ritorno dalla prigionia
Ma è stata casa mia
mia ogni piastrella
ogni porta ogni scalino
La casa
per un bambino
è sempre quella
coi sogni i nascondigli
l’odore dei fratelli
Si è inaridita
per il troppo vento
per il poco sole
Come la rosa ferita
del mio amore

VIA PARINI

Fabio Scotto

Fabio Scotto

 

I
La calce sugli scalini
Via Parini, 3
Io bambino
fra muratori bestemmiatori
nella pausa di mezzogiorno
Mortadella e vino
in canottiera
Mosche sulle mani
mosche e tafàni
il sole dritto
come un coltello
Croci pendenti tra peli sul petto
e scarponi nicotina
unghie nere
a graffiare l’aria
Le bocche aperte
se solo appariva
dalla finestra socchiusa della toilette
il bel seno della signora francese
Si pettinava nuda allo specchio
Altra vita
Altro pane
IV
La mamma mi ha portato da Maria Grazia
una sera fresca di fiori
La casa è pulita
ne rivedo gli odori
la foto sul comodino
lenzuola medicine
Le mani dentro il silenzio
La bara al centro
aperta sul tavolo
la camicetta bianca
«Fabio, dalle un bacino…»
Sembrava viva
Dormiva
VIII
Le righe disegnate in terra col bastoncino
confini di polvere
tra il cancello e i garages
davanti a casa
Arrivavano dalle vie vicine
altri bambini
gladiatori in maniche corte
sul terreno di gioco
Palla avvelenata
dopocena
destrezza e mira
nella frescura
Papà e mamma al balcone
ridere
Lontana
una televisione accesa
Colpiti si moriva
Liberàti s’usciva
dalla gabbia di cartone
Dolce sera
Soffice palla-luna prigioniera

SEGOVIA

Fabio Scotto

Fabio Scotto

 

Plaza Mayor
Beviamo un’ horchata
seduti al “Negresco”
mentre bambini giocano
sul Palco della musica
Nulla
se non questo ricamo
che fa nell’aria
il tuo ventaglio
alla notte che viene
Non sono più parole
forse è dell’eco
d’un sogno che prosegue
oltre te
oltre me
nel dire delle dita
in questa fresca ferita
che l’ombra non chiude
che il vento dissigilla
Poi d’improvviso planano
sulle guglie della Cattedrale
cicogne equilibriste
tra arabeschi di pietra
Guardi lontano
tra te e la tua mano
il blu versato in cielo
dagli occhi lacrimosi
fa la notte più chiara
più muto il cuore
E pulsa dalla gola
un sangue che non giunge
Persa la voce
persa ogni memoria
Tempo ignoto
sospeso tra Segovia e La Granja
Tutto ho di te
Tutto mi manca
da BOCCA SEGRETA

QUANDO L’ORECCHIO SUL TUO SESSO

Fabio Scotto

Fabio Scotto

 

A V.
Quando, l’orecchio sul tuo sesso,
mi giungono navicelle i suoni
Da dove? forse da un atollo,
da un prato giovane forse da
sotto i pantaloni blu di genova
gettàti lì col golf sulla sedia
di paglia, e gli occhi chiusi, le tende
un brivido di stelle che ti scalda,
mia farfalla. Ti bacio coi capelli
fonte d’erba fiato e d’aria
per pochi istanti interminabili
sulla moquette rossa che ci
sostiene il cuore accelerato
ai fianchi uniti innanzi alla veranda
come se sapessi
come se non fosse stato
mai, neppure nel pensiero,
un fremito sussurro d’alga.
Eccomi ancòra fuori dal tuo nome
Con tutta la morte che mi resta.
da LA DOCE FERITA

PAROS

Fabio Scotto

Fabio Scotto

 

Luce ci acceca gli occhi
sibilando
su rocce aspre in fila
senza fine
La senti mugolare
sgomitando
nell’urlo del meltèmi a Parikìa
Sospesa tra due sogni Paros canta
nel bianco scintillante delle case
Leggera come cuore di farfalla
sorpresa di vederci ritornare
Cammino sui miei passi
galleggiando
ferito di ogni guerra
sfido il mare
Nausicaa tu sei qui
di questa terra…
nel tempo dell’ibisco incantatore
La notte cade a pezzi
veneziana
Naoussa è un altro sogno
un’altra tana

NOTE DALMATE

Fabio Scotto

Fabio Scotto

 

Ha stanato il granchio
dopo ostinata caccia
La preda è nel secchiello
La osserva
la sevizia
Via una chela
poi l’altra
« Papà, perché non cammina? »
(così piccolo
e il cervello già in rovina…)
Poi d’accordo
i due compagnucci
tirano ciascuno dalla propria parte
finché la povera bestia non s’apre in due
Osservare il cuore senza corpo
palpitare nella mano
Primi rudimenti di crudeltà infantile
Il padre applaude alla bella prova virile
Seminiamo, seminiamo…
TRADUZIONI

NAXOS

Fabio Scotto

Fabio Scotto

 

All’ombra degli ulivi
come un fiore
di terra rossa il ventre
da Bisanzio
Respiro sorseggiando
senza amore
del sidro
non mi piace più di tanto
Mi pesa addosso il giorno
la mia croce
La porto come un vecchio il suo ventaglio
Ti ho conosciuto a Naxos
dolce amore
E più ti cerco
più mi sei lontano

LEGGI RILKE

Fabio Scotto

Fabio Scotto

 

Il viso incollato al vetro del treno
lui lo tieni negli occhi
finché l’inghiotte la calura dei binari
a Firenze Santa Maria Novella
Ora siedi
abbracciandoti i fianchi
in un lutto d’arti
istantaneo
eterno
L’umido d’occhi
medicato dal kleenex
sulle ciglia lunghe
quella lacrima bambina
già scesa e inafferrata
che ancòra non scorre
sul velo delle gote
sole
di taglio sui sandali
occhi immensi grigi
avidi d’aria
Leggi Rilke
nel pomeriggio che rimane
la mano nervosamente affondata
nel sacchetto delle patatine
Mangi in fretta
ferite
Mordicchi sulle dita affusolate
pellicine di dolore
Mostri i denti bianchi
dopo un sorso d’acqua
lo sguardo accarezza i fogli
annotati in tedesco
s’espande
s’arresta sospeso nel vuoto
L’aria non si muove
Domani l’esame
– «Chiamerà dopo le nove?»
Non sentire la voce
Misuro annullata
la distanza delle labbra
Vorrei baciarti i piedi
con moltiplicate bocche
esserti seta fresca
farfalla sul pube
Già Milano Centrale
Il corpo stancamente verso l’uscita
da dietro
rallentando
poi più nulla
Nel metrò Annie Lennox canta
«How many times do I have to try to tell you…»
e “Why” è una corolla d’ombra
Ma scioperano le api
tutto scioglie il vento
come d’ali senza volo
ignote
Solo sapessi il nome
morirei peggio questa nuova morte
E ancelle nella saliva
di ghiaccio
devote

LA PALUDE

Fabio Scotto

Fabio Scotto

 

Un bien-être si actif qu’il était presque une joie emplissait le
marcheur…
… Une totale liberté naissait du départ
Marguerite
Yourcenar, L’Oeuvre au Noir.
I
Si andava in quattro
o cinque
in fila indiana
l’estate
coi ginocchi già sbucciàti
La strada a un certo punto
a
c
bifor
v
a
non mi ricordo
da che parte andammo
II
Davanti i temerari
dietro gli altri
le scarpe da ginnastica
le biglie
Qualcuno ritornava indietro prima
e sui ginocchi già le cicatrici
III
D’un tratto quel sentiero restringeva
fino ad un ponticello malridotto;
oltre, frasche più fitte
un’ombra
un fosso
il piede cigolava al primo passo
la paura
in quel batticuore
da non dire
da dimenticare
sotto la maglietta
IV
Una palude bianca
in una c a l m a
senza vento
o forse gialla, grigia
mutevole a guardarla
come il tempo
Nessun marziano vi era
o mostro
o tigre del Bengala
né l’uomo nero
(viveva in fondo al sottoscala)
V
Eppure si muoveva
come polenta
chimica laguna
«Non ci andare,
che se ci cadi dentro…»
pareva di sentirsi richiamare
da
g i ù
nel fondo
da una testa bruna
VI
I giochi più incoscienti
a pelo d’acqua
qualcuno già ostentava sigarette
tra tremolanti denti
e latta e muschio
e dio e demonio
in bilico
nel limbo dei litigi
VII
Hai pianto
non so quanto
che le lentiggini
sembravano più scure
della palude stessa
della nube
Sul capo minacciava un temporale
Angera era alle spalle
un minareto
la valle cieca del segreto
principe delle genziane
VIII
Ne ritornammo
forse
che il naso s’era fatto freddo
alle sei le prime gocce addosso
che le sberle comunque
le avremmo prese lo stesso
Tanto valeva bagnarsi
fino al midollo
del segreto
nelle tasche figurine
e una lumaca scura
grossa così
per far paura
alle bambine

LA CLESSIDRA DI RODI

Fabio Scotto

Fabio Scotto

 

Nell’Ade
da ieri
con trasporto
a Rodi
Sogno di Nembo Kid mangiato dai ladroni
carezze e suoni uniti in un tuo schiaffo
Solo
e non soltanto uomo d’oggi
Saffo dai piedi piccoli
di geisha
Le luci le nascondo agli occhi
le lune me le mangio a morsi
principe del cosmo su poltrona
senza più velluto
in punta al mondo
Baciami senza bocca
ti udirò senza orecchie
senza corpo ferire
Guardami dagli occhi
con un sorriso azzurro
Sono del sogno il sogno
la tua clessidra anemica
sabbiando
da IL BOSCO DI VELATE