Impetuoso, il tuo corpo è come un fiume in cui il mio si perde. Se ascolto, sento solo il tuo rumore. Di me, neanche il segno più breve. Immagine dei gesti che tracciai, irrompe puro e completo. Per questo, fiume fu il nome che gli diedi. E in esso il cielo diventa più vicino.
Tutta la poesia è luminosa, persino la più oscura. È il lettore che ha talvolta, al posto del sole, nebbia dentro di se. E la nebbia non permette mai di vedere chiaro. Se ritornerà un’altra volta e un’altra volta e un’altra volta a queste sillabe infiammate rimarrà cieco da tanto chiarore. Sia felice se arriverà.
Portava con sé la grazia delle fonti quando fa notte. Era il corpo come un fiume in serena sfida con i margini quando cala. Camminava come chi passa senza aver tempo di fermarsi. Erbe crescevano dai passi, crescevano tronchi dalle braccia quando le alzava in aria. Sorrideva come chi danza. E sfogliava al danzare il corpo, che gli tremava in un ritmo che lui sapeva che gli dei devono usare. E seguiva il suo cammino, perché era un dio che passava. Estraneo a tutto ciò che vedeva, avvinto nella melodia di un flauto che suonava.
Sono come un cristallo, le parole. Alcune, un pugnale, un incendio. Altre, rugiada appena. Segrete vengono, piene di memoria. Insicure navigano: barche o baci, agitano le acque. Abbandonate, innocenti, leggere. Tessute sono di luce e sono la notte. E persino pallide ricordano ancora verdi paradisi. Chi le ascolta? Chi le raccoglie, così, crudeli, disfatte, nei loro gusci puri?
Tutto mi prende la terra che mi possiede: Il fiume d’improvviso adolescente, La luce incespicando negli angoli, Le sabbie ove arsi impaziente. Tutto mi prende del medesimo triste amore nel sapere che la vita dura poco, E in essa pongo la speranza e il calore Di quanta tenerezza rimane tra le dita. Dicono che vi sono altri cieli e altre lune E altri occhi densi di allegria, Ma io appartengo a queste case, a queste vie, A questo amore grondante melanconia.
Avevo già udito il richiamo del tordo accanto alle vecchie acque del fiume o nella luce vetrata dei lenti olivi del sud. Pensavo allora che non poteva morire chi tanto ha amato il chiaro timbro delle vocali portate dal mare – l’autunno, lui moriva nelle fiamme alte dei castagni, nel sonnambulo ondeggiare delle greggi, negli occhi delle donne dal cuore affaticato, simili a rami spezzati – loro, che furono sorelle della rugiada. Traduzione di Giulia Lanciani
Poesia n. 200 Dicembre 2005 400 poeti del 900 Poeti portoghesi
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