1. trema la terra, le vene hanno sangue che geme e ti riempie. è un fiotto la terra che lotta, sussulta, avviluppa. confonde la terra che affonda, ti rende sua onda, presente a ogni lato soffoca il fiato, ti afferra, collutta, si sbatte, si spacca, ti vuole e combatti, chiede il contatto, ti attacca, ti abbatte. è fuoco la terra del dopo risucchia di poco le crepe: la terra che trema riempie memoria. ti stana, si affrange, ti strema, è padrona. Da Novembre (Transeuropa, 2010)
5. finale Sono restato seduto dietro una panchina per anni il cielo è rosso vermiglio e ricordo la tua pelle liscia quando mi scorre il latte sulle guance. La notte è un piedistallo e restiamo immobili solo io e te con gli occhi che sono camaleonti sotto la luce dei lampioni. Il verde condiziona il giorno schiarendo le tonalità del cielo ora che tutto è disteso e senza confini non si vedono più le staccionate e il buio serve solo a consolare. Voglio consegnarmi alle distese della terra fertile lontano dal mare che paradossalmente è sterile ed esplora. Qui nulla ti riconosce e inganna c’è un profumo di uva secca e muschio una finestra per il sole, senza un confine netto tra vivere e sperare. Da Il centro del mondo (Transeuropa, 2014)
2. non era tuono di bombe che arroventò le grida gli occhi di polvere spalancati le mani ruvide sugli intonaci sgretolati e c’era una feritoia incancrenita da cui uscivamo come formiche disorientate: guardavo i volti tumefatti delle cose la luna ne illuminava i cumuli grigi. Da Novembre (Transeuropa, 2010)
Lei, Lucy, avrebbe avuto oggi 41 (quarantuno) anni senza acciacchi – se la vita le fosse stata benigna – e un lavoro giornaliero. Chissà se avrebbe civettato col suo aspetto impreziosendolo o trasformando le fattezze. Frutto di un secondo parto – dal ventre della terra – perché comprendessimo la nostra provenienza astrale, la trasformazione e la memoria racchiusa nelle cose, se nascoste dall’incedere degli anni. La terra restituisce a volte i suoi diamanti per condurci in un luogo del sapere, avvolgendoci nell’inquietudine di provare a conservare i suoi frammenti, mentre cambia. (25 novembre 2015)
la morte ha soggiornato per anni ora le nostre case hanno bisogno di respiri, abbandonate come sono al silenzio. abbiamo traslocato i nostri corpi e lasciato solo le crepe nude delle rughe a vegliare sulla piazza. Domenico Cipriano (Guardia Lombardi, 1970), da Novembre (Transeuropa, 2010)
Esistiamo perché mutiamo. Il corpo si trasforma con il tempo, così la voce e l’odore che tutto dice. Conserviamo poco, diamo segni di noi nel pensiero che si evolve, nelle azioni che si alternano, confondendo i colori che la pelle mostra, variando i suoni che all’istante diventano parole. Se c’è una storia da ricomporre (pezzo a pezzo) è nel modificarsi delle orme che tracciamo. Così, solo le cose ferme ci ricordano dove siamo già esistiti, anche se il vento cerca di mutarne le sembianze con la polvere che accumula in forme disadorne. Continuiamo a dirci vivi ostinandoci a non apparire uguali e questo morire eternamente è il volto stesso che la vita ci consente. Domenico Cipriano (Guardia Lombardi, 1970), da Il centro del mondo (Transeuropa, 2014)
Cerchio riflesso lampade flebili esili ritmi nati dai cerchi sommati: bocche occhi gole dei sassofoni bui nei centri (ogni cerchio è oscuro nel centro ripercuote insistente se stesso ridesto nei segni invadenti del mondo e i simboli tondi) rossetto sui bordi solletica sforme sorriso a mezza luna la nota che nuota nei riccioli: boccoli tondi riposti alla cruna. Da Il continente perso (Fermenti, 2000)
C’è sempre un risarcimento un ciottolo di selce levigato una disposizione del carbonio che scintilla o il fuoco addomesticato a sedimentare la memoria del cosmo. L’istante dove spunta l’inizio dei pensieri la nascita. Ci saranno dissolvenze, la grazia di frammenti provenienti da lontano, nelle foto nei diagrammi dei ricordi. Solo una scena si ripete sbucando da un’epoca scolpita nel tepore di un’auto in partenza, in un viso trasformato. Un dettaglio marginale – sepolto o inaccessibile – che compensa l’angoscia la distanza sconfinata dalle stelle. Da L’origine (L’Arcolaio, 2017)
Amore, non credo nell’economia di scala nella produzione di massa per questo è una la rosa che ti dono perché si è in un solo modo per ognuno. Da Il continente perso (Fermenti, 2000)
Moriamo pezzo dopo pezzo mutando, crescerai e sarai altro, diversa. Ferma l’immagine che hai già cancellato nelle ore (non è affidabile la memoria) così la presenza non è solo un dettaglio per la nostra comprensione. Filo spinato e ruggine sui punti fermi del mondo, ma nemmeno quello spigolo d’universo ci appartiene. Cambiano con te le cose abbandonate. Da Il centro del mondo (Transeuropa, 2014)
La piu grande biblioteca online di poesie in italiano