Una mattina di luglio il sole era alto dietro una nuvolosa tristezza. Gli occhi arrossati da una notte di veglia schiarivano al contatto del giorno. Su per i vetri di una vecchia mille e cento fiat si arrampicavano le braccia nere dei dispersi gli occhi spugnosi dei vinti. E’ straordinario come a lungo questa trafila di corpi gettati si ripetesse nel tempo- un unico lamento, un unico profumo la sottigliezza dell’osso, il candore dei denti. SOTTO IL SOLE Empirìa, 1998
Da tempo volevo tornare a scrivere dell’amore. L’ultima volta fu agli inizi della primavera quando le mie parole erano in perfetta sintonia con il clima, con la stagione e il mio punto debole si era di nuovo, inaspettatamente infiammato. Ora riprendo nel silenzio dell’autunno e sono più sensibile a un lento ragionare dentro di me, fatto di voci che si sovrappongono fino a dissolversi in un’unica voce che guida la mia mano. …… Il nuovo amore non si presentò con un urlo improvviso nelle orecchie, non si accese al primo sguardo. No, non l’ho sentito passare veloce sopra le mie spalle. Questa volta l’amore già da tempo c’era, aveva occhi, voce e corpo ma non esisteva. Affiorò lento da un luogo della mente, era già scritto nella mia memoria aveva occhi, voce e corpo ma non rispondeva … DEL MIO E DELL’ALTRUI AMORE Empirìa, 2005
2 Ci sono più vivi che morti nel registro del tuo giardino sono forme erette, li chiami: gli agapànto del giorno ma sei al margine dell’aiuola, non c’è quasi più terra. Ancora un’alba rosata ancora un giro nel motore della piazza che si sostiene a fatica sul peso dei suoi luridi portici e poi comincerà la conta di chi non appartiene più alla vita dirai, senza sapere a chi -ridammeli indietro, non li trattenere così attoniti e muti sarà definitivo più della morte e più lento come sfogliarsi un po’ alla volta scuoiarsi arrivare all’osso della pena per troppa mancanza. DI QUESTO MONDO Nino Aragno Editore, 2013
2 il vento spazza via le carte dai marciapiedi negli angoli delle strade, nei cortili. Gli alberi si spiumano come canne, paurosamente squilibrati nella catena del traffico. C’è una grande piazza sotto le mie finestre il movimento rotatorio del vento mischia profumi orientali. A ogni angolo chioschi notturni di fiori dove attraccano migrazioni di razze- tutti vicini a strusciarsi i gomiti negli ascensori a impastare le lingue con gli odori delle cucine io guardo con gli occhi abbacinati di un turista senza punti di riferimento. Nessun luogo da ricordare in questo esiguo esperimento di vita ma quando il vento cambia da qualche parte arriva il ricordo di una faccia senza sorriso 3 sotto i portici della piazza ristagna l’odore dell’orina – un camposanto di resti, buste lattine fogli di giornale, una torbida palude disegnata dal vento e dalla natura dei passi. Nella vetrina la luce si addensa di cristalli – un uomo sbattuto a terra con un cappotto lercio sulle spalle, un cartone di vino ai piedi. Il sole entra sobrio in un’orbita di architetture piemontesi, l’aria metallica raschia le celle dei polmoni come un’unghia. Non è la luce dell’India a snodare la passione del giorno, è un disperante bisogno di vita. L’acqua della poesia scorre su cose sporche e zone d’amore come sui rauchi rumori di questa piazza, sulle sue solitudini di razza IL RITORNO ALL’ISOLA Nino Aragno Editore, 2010
Nell’ora in cui il sole velato va svanendo, come una stanca cantilena scendiamo verso il mare e nella fosforescenza dell’acqua cogliamo la posizione delle vele la curvatura nera delle barche. Sulla spiaggia -raggruppati come pecore- i pescatori slacciano le reti in ceste cave, deserte e i pesci grassi guizzano le loro lame argentate. Strani legni e strane mercanzie allietano la spiaggia, così il colore dei panni appesi a un filo che sembrano stormire come un volo di rondini. (Ma dove sono le mangrovie? dove vive questo fiore dal nome invadente così a lungo evocato come fosse qualcosa di utile da serbare in silenzio?) Fra questa fascia di sabbia e il cielo umido di pioggia possiamo solo esistere -brevemente- SOTTO IL SOLE Empirìa, 1998
Si direbbe poco più che mestizia questa guancia scolastica appoggiata alla mano o piuttosto albagia strana corrente che si accompagna al niente perché per rintracciarti ormai c’è un fossato -letto secco di fiume schiume d’acqua stagnante un prezioso liquame di lotte sotterranee e brevi incontri, soste di grazia e di scontenti di cuori sonnolenti o chiusi da disperazione delle tante incisioni fruttate nella mente e di te resta niente poco più che mestizia o piuttosto albagia strana corrente * L’ospite non somiglia all’abitante della casa non ha la consuetudine del gesto e non cammina sopportandone il peso trascina un tempo di lentezza marina con calme ondate d’attesa non conosce l’intesa che attraversa le stanze nel porto quotidiano. La casa è un porto a difesa l’ospite ci cammina senza lasciare impronte ma un’ombra delebile sul vetro del bicchiere LA CURA DELLE COSE Empirìa, 1993
1 E’ un vecchio casale di pietra, l’età macchiata dall’impronta del tempo e dalle famiglie che l’hanno abitato. Ci sarà stato un contadino-poeta in questa casa, un ragazzo distratto dalle corde del vento, una donna innamorata della solitudine e del ricamo, una vecchia ammaestrata ai canti di preghiera. Poi un lungo silenzio di passaggio -lungo quanto? Abbandono, assenze, una moda nuova di abitare le stanze dove noi camminiamo con le scarpe da ginnastica ai piedi. Ora sulle pareti germoglia la tintura ad acqua, la luce passa da larghi infissi, entrano ed escono guance cotte d’aria, giornate di sole e laghetti di pioggia. Dopo il lungo silenzio di passaggio sono tornate facce e mode nuove che già declinano nell’astuzia del tempo; perché noi non cresciamo più come i bambini, noi invecchiamo. 3 Non avendo niente da dire o da scrivere sono uscita, ho sceso ventiquattro scalini di pietra e preso il sentiero bianco del ritorno. Superata la legnaia mi sono infilata in un campo d’erba. C’era vento, si adattava bene all’urlo della campagna nelle mie orecchie, i suoi occhi andavano, venivano controllavano la poca luce del giorno in un collare di nuvole. Sei fortunata a riconoscere questi odori, ho pensato, a sentire il suono delle foglie che raschia da ramo a ramo -più dell’unghia il marmo, più della lima il ferro- mentre a passi lenti entro nel silenzio di mezzogiorno e stacco la spina dell’egoismo dalla mia testa lanuginosa. Qui posso fermarmi ad ascoltare quello che vedo e tralasciando il vuoto, posso guardare le cose che vivono sotto i miei occhi. DI QUESTO MONDO Nino Aragno Editore, 2013
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