Ancora cadrà la pioggia sui tuoi dolci selciati, una pioggia leggera come un alito o un passo. Ancora la brezza e l’alba fioriranno leggere come sotto il tuo passo, quando tu rientrerai. Tra fiori e davanzali i gatti lo sapranno. Ci saranno altri giorni, ci saranno altre voci. Sorriderai da sola. I gatti lo sapranno. Udrai parole antiche, parole stanche e vane come i costumi smessi delle feste di ieri. Farai gesti anche tu. Risponderai parole; viso di primavera, farai gesti anche tu. I gatti lo sapranno, viso di primavera; e la pioggia leggera, l’alba color giacinto, che dilaniano il cuore di chi più non ti spera, sono il triste sorriso che sorridi da sola. Ci saranno altri giorni, altre voci e risvegli. Soffieremo nell’alba, viso di primavera.
Anche la notte ti somiglia, la notte remota che piange muta, dentro il cuore profondo, e le stelle passano stanche. Una guancia tocca una guancia; è un brivido freddo, qualcuno si dibatte e t’implora, solo, sperduto in te, nella tua febbre. La notte soffre e anela l’alba, povero cuore che sussulti. O viso chiuso, buia angoscia, febbre che rattristi le stelle, c’è chi come te attende l’alba scrutando il tuo viso in silenzio. Sei distesa sotto la notte come un chiuso orizzonte morto. Povero cuore che sussulti, un giorno lontano eri l’alba.
Ti ho sempre soltanto veduta, senza parlarti mai, nei tuoi istanti più belli. Ma ho l’anima ormai tanto tesa, schiantata dalla tua figura, che non trovo più pace al suo brivido atroce. E non posso parlarti, nemmeno avvicinarmi, ché cadrebbero tutti i miei sogni. Oh se tale è il tremore orribile che ho nell’anima questa notte, e non ti conoscerò mai, che cosa diverrebbe il mio povero cuore sotto l’urto del sangue, alla sublimità di te? Se ora mi par di morire, che vertigine folle, che palpiti moribondi, che urli di voluttà e di languore mi darebbe la tua realtà? Ma io non posso parlarti, e nemmeno avvicinarmi: nei tuoi istanti più belli ti ho sempre soltanto veduta, sempre soltanto sognate.
Stamattina non sono più solo una donna recente sta distesa sul fondo e mi grava la prua della barca, che avanza e fatica nell’acqua tranquilla ancor gelida e torba del sonno notturno. Sono uscito dal Po tumultuante e echeggiante nel sole di onde rapide e di sabbiatori, e vincendo la svolta dopo molti sussulti mi sono cacciato nel Sangone. «Che sogno», ha osservato colei senza muovere il corpo supino guardando nel cielo. Non c’è un’anima in giro e le rive son alte e a monte più anguste, serrate di pioppi.
I mattini passano chiari e deserti. Cosí i tuoi occhi s’aprivano un tempo. Il mattino trascorreva lento, era un gorgo d’immobile luce. Taceva. Tu viva tacevi; le cose vivevano sotto i tuoi occhi (non pena non febbre non ombra) come un mare al mattino, chiaro. Dove sei tu, luce, è il mattino. Tu eri la vita e le cose. In te desti respiravamo sotto il cielo che ancora è in noi. Non pena non febbre allora, non quest’ombra greve del giorno affollato e diverso. O luce, chiarezza lontana, respiro affannoso, rivolgi gli occhi immobili e chiari su noi. È buio il mattino che passa senza la luce dei tuoi occhi.
Tu non sai le colline dove si è sparso il sangue. Tutti quanti fuggimmo tutti quanti gettammo l’arma e il nome. Una donna ci guardava fuggire. Uno solo di noi si fermò a pugno chiuso, vide il cielo vuoto, chinò il capo e morì sotto il muro, tacendo. Ora è un cencio di sangue il suo nome. Una donna ci aspetta alle colline.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi questa morte che ci accompagna dal mattino alla sera, insonne, sorda, come un vecchio rimorso o un vizio assurdo. I tuoi occhi saranno una vana parola, un grido taciuto, un silenzio. Cosí li vedi ogni mattina quando su te sola ti pieghi nello specchio. O cara speranza, quel giorno sapremo anche noi che sei la vita e sei il nulla. Per tutti la morte ha uno sguardo. Verrà la morte e avrà i tuoi occhi. Sarà come smettere un vizio, come vedere nello specchio riemergere un viso morto, come ascoltare un labbro chiuso. Scenderemo nel gorgo muti.
Vorrei poter soffocare nella stretta delle tue braccia nell’amore ardente del tuo corpo sul tuo volto, sulle tue membra struggenti nel deliquio dei tuoi occhi profondi perduti nel mio amore, quest’acredine arida che mi tormenta. Ardere confuso in te disperatamente quest’insaziabilità della mia anima già stanca di tutte le cose prima ancor di conoscerle ed ora tanto esasperata dal mutismo del mondo implacabile a tutti i miei sogni e dalla sua atrocità tranquilla che mi grava terribile e noncurante e nemmeno più mi concede la pacatezza del tedio ma mi strazia tormentosamente e mi pungola atroce, senza lasciarmi urlare, sconvolgendomi il sangue soffocandomi atroce in un silenzio che è uno spasimo in un silenzio fremente. Nell’ebbrezza disperata dell’amore di tutto il tuo corpo e della tua anima perduta vorrei sconvolgere e bruciarmi l’anima sperdere quest’orrore che mi strappa gli urli e me li soffoca in gola bruciarlo annichilirlo in un attimo e stringermi a te senza ritegno più ciecamente, febbrile, schiantandoti, d’amore. Poi morire, morire, con te.
Sei la vita e la morte. Sei venuta di marzo sulla terra nuda ? il tuo brivido dura. Sangue di primavera ? anemone o nube ? il tuo passo leggero ha violato la terra. Ricomincia il dolore. Il tuo passo leggero ha riaperto il dolore. Era fredda la terra sotto povero cielo, era immobile e chiusa in un torpido sogno, come chi piú non soffre. Anche il gelo era dolce dentro il cuore profondo. Tra la vita e la morte la speranza taceva. Ora ha una voce e un sangue ogni cosa che vive. Ora la terra e il cielo sono un brivido forte, la speranza li torce, li sconvolge il mattino, li sommerge il tuo passo, il tuo fiato d’aurora. Sangue di primavera, tutta la terra trema di un antico tremore. Hai riaperto il dolore. Sei la vita e la morte. Sopra la terra nuda sei passata leggera come rondine o nube, il torrente del cuore si è ridestato e irrompe e si specchia nel cielo e rispecchia le cose ? e le cose, nel cielo e nel cuore soffrono e si contorcono nell’attesa di te. È il mattino, è l’aurora, sangue di primavera, tu hai violato la terra. La speranza si torce, e ti attende ti chiama. Sei la vita e la morte. Il tuo passo è leggero.