Un bacio nell’incavo del ginocchio è un fruscio di falena alla zanzariera e sì amore mio un puntino luminoso sull’ecometro è Campanellino con la tossetta e due volte perderò l’onore e le stelle saranno confitte come puntine nella notte sì oh sì sì sì due chioccioline all’incavo del ginocchio che accen- dono falò simili a ci- glia che sfregano sì sì sì come pietrina d’accendino bic: e così esisto!
No, non proprio rossa, ma del colore di una rosa che sanguina. E’ un fenicottero sperduto, da qualche parte detto Rosa Schiaparelli e non direi rosa, ma color sangue caramella cuoricini di cannella. Ondeggia come mantelli negli impeccabili villaggi di Spagna. Direi una falda di fuoco e disotto, come un petalo, una guaina rosa, tersa come pietra. Direi una camicia da notte di due colori e di due falde che fluttuano dalle spalle le membra fasciando. Per anni la tarma li ha bramati ma questi colori sono cinti da silenzio e animali larvati ma brucanti. Si potrebbe immaginare piume e non averne cognizione. Si potrebbe pensare alle puttane e non figurarsi le movenze di un cigno. Si potrebbe immaginare il tessuto di un’ape, toccarne i peluzzi e avvicinarsi all’idea. Il letto è devastato da tali dolci visioni. La ragazza è. La ragazza spicca aleggiando dalla camicia da notte e dal suo colore. Ha le ali legate sulle spalle come bendaggi. Adesso la farfalla la possiede, copre lei e le sue ferite. Non l’atterriscono begonie o telegrammi ma certo questa camicia da notte ragazza, questa mirabile creatura alata, non si avvede di come la luna l’attraversi fra due falde galleggiando.
La fine della cosa è sempre morte. Fuori da me stessa il mio respiro scopre che te ne sei andato via. Matto terrore. Mi nutro di me stessa. Io da sola ogni notte scopo il letto. Un dito dopo l´altro mi fotto la mia figa. Non è così lontana. Basta allungare la mano. La scuoto e la scrollo come una campana. Scivolo nel nido d´amore dove la montavi tu che sul letto mi prendevi. Io da sola ogni notte scopo il letto. Prendi ad esempio questa notte, amore: ogni coppia si unisce, su e giù si capovolge solidale, si inginocchia spingendo, testa a testa. Io da sola ogni notte scopo il letto. Mi distendo, mi penetro. Mia piccola susina chiamavi la mia passera. Poi venne la mia rivale, occhi neri, signora delle acque si leva sulla spiaggia, ha dita vellutate da pianista, belle turgide labbra per succhiare, voce come flauto che seduce. Io da sola ogni notte scopo il letto Mi spacco in due come si spacca una pietra. I ragazzi stanotte e le ragazze si uniscono e si chiavano, aprono le camicie, abbassano le cerniere, si tolgono le scarpe spengono la luce – le scintillanti creature sono piene di bugie e godimento, brillano di sudore e di sperma, si mangiano l´un l´altra, sono sazie. Io da sola ogni notte scopo il letto.
Vieni, mio amato, contempla i gigli. Abbiamo poca fede. Parliamo troppo. Metti via il tuo scioglilingua di parole e vieni con me a osservare i gigli dischiusi nel campo, che crescono come yacht, che lentamente allungano i petali senza infermiere o orologi. Contempliamo la vista: una casa dove nubi bianche ornano le pareti fangose. Oh, metti via le tue buone e cattive parole. Sputa fuori le tue parole come pietre! Vieni qui! Vieni qui! Vieni a gustare i miei dolci frutti.
Le pareti della grotta erano di tutte le sfumature del blu e tu dicesti,”Guarda! Hai gli occhi color del mare .Guarda! Hai gli occhi color del cielo”. E i miei occhi si chiusero come se fossero d’improvviso imbarazzati.
Una sola volta compresi lo scopo della vita. Accadde a Boston, inaspettatamente. Camminavo lungo il Charles e vidi le luci duplicarsi, tutte con il cuore al neon e vibrante, spalancando la bocca come cantanti d’opera; e contai le stelle, le mie piccole veterane, cicatrici fiorite, e capii che stavo portando il mio amore sulla sponda verde notturna, e in lacrime aprii il cuore alle auto dirette a est e a ovest e feci passare un ponticello alla mia verità e la condussi a casa in fretta col suo fascino e fino all’alba accumulai queste costanti per scoprire poi che se n’erano andate.
State attenti alle parole, anche a quelle miracolose. Per le miracolose diamo il meglio, brulicano alle volte come insetti lasciando non un pizzico ma un bacio. Possono essere buone come le dita. Possono essere affidabili come le rocce su cui mettiamo il sedere. Ma possono essere sia margherite che ferite.
Eppure io le amo. Sono colombe cadute dal soffitto. Sono sei arance sacre appoggiate in grembo. Sono gli alberi, le gambe dell’estate, e il sole, con il suo volto appassionato.
Eppure spesso mi deludono. Ho così tanto da dire, così tante storie, immagini, proverbi, ecc. Ma le parole non ce la fanno, mi baciano quelle sbagliate. A volte volo come un’aquila ma con le ali dello scricciolo.
Provo comunque a prendermene cura e ad essere gentile. Uova e parole vanno maneggiate con cura. Una volta rotte non si possono riparare.
Ecco la chiave d’accesso. Ecco la chiave di tutto. Preziosa. Sono peggio dei figli del guardacaccia, che piluccano polvere e pane. Io qui vo spizzicando l’odore. Fammi sdraiare sul tappeto, sul materasso di paglia – quel che hai a portata di mano, perché la bambina dentro me sta morendo, morendo. Non ch’io sia bestiame da macelleria. Non ch’io sia una specie di via. Ma le tue mani come un architetto m’hanno inventata. Bricco di latte! Era tuo anni fa quando vivevo nella valle delle mie ossa, ossa mute nella palude. Ninnoli. Forse uno xilofono con la pelle tesa sopra rozzamente. Solo dopo divenne qualcosa di vero. E paragonavo la mia taglia a quella delle dive. Non reggevo il confronto. Qualcosa tra un spalla e l’altra c’era. Mai abbastanza. Certo, c’era un giardino, ma nessun ragazzo a cantarne la verità. Nessun tramite per dirla. Non conoscendo uomo giacevo accanto alle mie sorelle e risorgendo dalle ceneri gridavo il mio sesso sarà trafitto! Ora sono tua madre, tua figlia, la tua cosa nuova di zecca – una chiocciola, un nido. Sono viva quando le tue dita son vive. Indosso seta – che vela e svela – perché alla seta voglio farti pensare. Ma non mi piace la stoffa. È troppo severa. Così dì quel che ti pare ma inerpicati come un rampicante perché qui è l’occhio, qui il gioiello, qui l’eccitazione che il capezzolo impara. Io sono squilibrata – ma non sono pazza come la neve. Sono folle come le ragazze son folli, con un’offerta, un’offerta… Brucio come bruciano i soldi.
Poi a letto penso a te, la tua lingua metà oceano, metà cioccolata, alle case dove entri con disinvoltura, ai tuoi capelli di lana d’acciaio, alle tue mani ostinate e come rosicchiamo la barriera perché siamo due.
Come vieni e afferri la coppa di sangue, mi ricompatti e bevi la mia acqua salata. Siamo nudi. Ci siamo denudati fino all’osso e insieme nuotando risaliamo il fiume, l’identico fiume chiamato Possesso e si profonda. Nessuno è solo.
Poi a letto penso a te, la tua lingua metà oceano, metà cioccolata, alle case dove entri con disinvoltura, ai tuoi capelli di lana d’acciaio, alle tue mani ostinate e come rosicchiamo la barriera perché siamo due. Come vieni e afferri la coppa di sangue, mi ricompatti e bevi la mia acqua salata. Siamo nudi. Ci siamo denudati fino all’osso e insieme nuotando risaliamo il fiume, l’identico fiume chiamato Possesso e vi sprofondiamo insieme. Nessuno è solo.
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