Archivi categoria: Annamaria Ferramosca

zoom su tutte le città ferite a morte

Annamaria Ferramosca

Annamaria Ferramosca

 

nella polvere scompaiono le scene come fossero
bagliori di una notte mai trascorsa
se mi abbracci anche una sola volta
la guerra scompare
abbracciati fuggiamo dagli scannatoi
da chi sogna di farsi cadavere tra cadaveri
abbracciati fuggiamo dall’empietà
di ricondurre i corpi negli spazi della prenascita
ci guardiamo nel fondo nero del bosco
confusi abitanti del caos
boia e animali sacrificali
mentre il fiotto soffoca il respiro
dei boschi dei nidi
di ciò che resta delle case
dove avevamo in mente di ritornare
come spiegheremo ai figli l’allarme ininterrotto
se non sotto una maschera di vergogna?
chi ritirerà la posta dalle cassette
mentre le arance rotolano dal cesto?
Nota: l’espressione in corsivo è tratta da Il cieco canta alla sua città, in Poesia al femminile, Abdulah Sidran, Ed. Saraj, 2006.
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urti gentili

Annamaria Ferramosca

Annamaria Ferramosca

 

mi manca la lingua mi manca
quella timidezza di vocali aperte
di zeta dolce nel grazie
un incurvarsi della voce in gola
come a piegarla fossero le pietre
salentine del ricordo o forse
una malinconia residua della nascita
ingorgo che resiste
allo sperpero del vivere
furore dei cieli di una volta
grida bianche dei dolmen che insistono
nel vedere il mattino sorgere
sulle rovine ogni volta
qualunque sia l’inclinazione della luce
mi manca quella strana paura
prima di ogni viaggio
come un sottile rifiuto della distanza
come di albero che impone alle radici
un limite all’espandersi e si concentra
sulla cura dei frutti
pure amo
tutto questo calpestio di genti nella città
l’impasto lento di animelingue
il rompersi dei meridiani l’inarcarsi dei ponti per
———–
urti gentili
questo annodarci annodando
i cesti della fiducia con antiche dita
da TRITTICI-IL SEGNO E LA PAROLA

una linguasilenzio felice larga piove

Annamaria Ferramosca

Annamaria Ferramosca

 

una linguasilenzio felice larga piove
penetra cantapetali dentro nel
dentro innocente sanguelinfahumus
permea senso senza
metallo che risuoni
da muro a muro da spina a spina
i dispersi al tocco sussultano si stringono
di fronte è la gelida notte
lontane le due torri come mammuth
emersi domani dalle nevi
ecco che galleggia sopra di me un Atlante
di sperdimento avvampa
così intensa la musica
ha forma d’arpa il telaio
tutti quei pesi di terracotta
a piombo come ghigliottine
ora stanno in levità di vibrafoni
nel primitivo piegarsi delle spighe
spose che vanno, culle
luce sul confine tra carezza e lama
abbiamo consegnato le ferite
insieme alle armi, preferito la festa
le lunghissime tavole sonore
il miele delle nozze diffuso
tornare nudi su terra nuda
farsi gola d’agnello mille volte
se occorre ancora sangue
per il gocciolio della fine
porte del mondo che ritornano alberi
città come campi da seminare
illuminati a regno piove
un silenzio-beatitudo
sonno infantile, lava che pietrifica
una fila di pietre da riscrivere
da CICLICA

Ragno in goccia d’ambra

Annamaria Ferramosca

Annamaria Ferramosca

 

Se è vero
che la parola vera nasce dal silenzio
voglio tacere. Fino
ad un silenzio compulsivo
Dopo
Dopo lo sperpero dei segni, dopo
la purificazione delle stanze, spenta
l’ultima scintilla sullo schermo
soltanto pietre
da interrogare
Dure. Come irremovibili
speranze. Dure
come disperazioni
Scoprire l’atteggiarsi possibile
della bocca a grido
nel contagio dell’ambra che rafferma
un minimo urlo di Munch
Era
stella viva tra i rami
immobile nel possesso della ragnatela
signore dell’equilibrio nella fragilità
stratega del fulmineo, fulminato
Urlo nel tuo silenzio, taccio
nel tuo grido
ragno in goccia d’ambra
da CURVE DI LIVELLO

La piazza delle vinte tarantole

Annamaria Ferramosca

Annamaria Ferramosca

 

Abbiamo altre parole questa notte:
un corpo musicale,
a vendicare il tempo
passato senza fuochi
Abbiamo l’alba
che batte su pelli tese in sarabanda,
furore d’argento sugli olivi,
fino al mare – l’eco
ingelosisce le grotte –
Piedi
a scandire colpi d’amore sulla terra
E tuoni
a dissipare tutte le aracnitudini
In piazza l’aria
è disegnata di spade con le braccia
Le ragazze scintillano la terra
dove ballano
Volano i cerchi delle gonne alla luna
S’incendiano i tamburi. Fino a sangue
(A sciogliere i cani ritmici, all’unisono,
si sfianca la paura)
Nota: questa è una piazza del Salento, dove in una notte d’agosto il suono dei tamburellisti coinvolge la popolazione in un ballo liberatorio collettivo, retaggio di antichi riti dionisiaci.
da PORTE/DOORS

Increasingly I Forget

Annamaria Ferramosca

Annamaria Ferramosca

 

increasingly I forget
where I’ve parked the car
the streets all look the same
with their sense of the sea encroaching
with the confusing call of stones
from the last riverbed a familiar
buzzing blows on the nape of my neck
on full sails that protect
my crossing
that’s where this land of mine breathes
with its wild motion, waiting,
it detaches from the continent, in silence
like Saramago’s raft
that’s where I must accompany
everyone who is gone from me
save the voices the maps
the travel advice the contagions of light
this is why somewhere out there
my car is patiently waiting
(traduzione di Anamaría Crowe Serrano e Riccardo Duranti)

Forse con una donna

Annamaria Ferramosca

Annamaria Ferramosca

 

Forse con una donna
disperata di te, del tuo mondo
non serve dividere corone
meglio farsi esuli insieme
navigare con lei navicella lunare
approdare su placide ginecosfere
dove lei è dispensiera
di pane e parole
Forse con una donna
sentire più spesso stupore
che istupidimento, soprattutto
quando dalle macerie risorgono
lentamente i villaggi
illimpiditi dal pianto e lei
ricomincia a parlare alle rose
Forse con una donna
ridere insieme
della tua enfasi e imperfezione
lei complice custode
di pienezza e inquietudine
del riso e del pathos
che non debordi
nel suo patimento
Ti immerge
nella morbida offerta
tu colmo di lei le correnti
inverti al tuo mare, dissenti
dal banditore che eri
(ora più aperte sul mondo le porte)
da LA POESIA ANIMA MUNDI

esterno con pioggia interno con acquario

Annamaria Ferramosca

Annamaria Ferramosca

 

è l’ora delle prove distratte di attraversamento
senza attenzione a strisce pedonali
zigzag sul bagnato senza ombrello
senza documenti né borsa né portafoglio
schizzo via dalla giunglamercato
obliquando rallento prendo fiato
rispondo alla domanda muta
del venditore ambulante
– è da un po’ che mi fissa perplesso –
sai la fine mi tiene d’occhio e voglio
andare senza direzione
come un bambino fare splash nelle pozzanghere
se vuoi se hai tempo appena
il tiglio smette di gocciolare
ti racconto una stupida vita
come stupisce come istupidisce
sai non si vede non si vede nessuno
nessuno è reale piove sempre
nella pioggia sbavano i segni
ma le pagine accidenti quelle sono
insperate di bellezza
disperante bellezza irraggiungibile
poi i lampi i lampi
dall’oltre indecifrabili martellano le tempie
e l’umano l’umano nausea fa barcollare
ma non mi arrendo
calpesto limiti recinti codici
e non mi perdono ché anch’io sono umana
così mi lascio vivere
un vivere piccolo semplice che almeno
un po’faccia coesione
un rimpicciolirmi come
di seme tra i semi

di voce attesa

Annamaria Ferramosca

Annamaria Ferramosca

 

una specie di lamento sottile
un gemito piccolo di gioia
come un timbro distorto per l’iridescenza delle acque
è la voce embrionale che attraversa la bolla salina
risuona nelle vene alla madre
e preme e le canta la sua elementare infanzia
chiede di sfolgorare in concerto nel giorno
dell’uscita luminosa quando
il minuscolo corpo verrà adagiato
sull’addomepianeta che riconosce
l’emissione di onde alla madre si compie
per distacco di corone vocali sottili come aureole
e lei interpreta e trema e costruisce
un paesaggio di case-alberi-strade
divinazione al primo cammino
lei avvia un’assertiva preghiera
salute prima poi bellezza e buona sorte ex aequo
tutto accadrà dovrà accadere
per volontà- rito-destino
o solo
per un in-cantamento
da OTHER SIGNS, OTHER CIRCLES

Amedeo Modigliani-Bambina in abito azzurro, olio su tela

Annamaria Ferramosca

Annamaria Ferramosca

 

forse non è ancora mattina
forse è un sogno scuro che ancora morde
o è voce destinata che cade sul mio capo
maman mi sveglia
mi stringe i capelli col nastrino rosso
mi fa indossare l’abito azzurro-calmo
oggi andiamo da Amedeo
ma tu vedi come dentro scalpito
come resisto e stringo le labbra
(lupi dal futuro già s’avventano)
mi hai sistemato in posa – bambola-nell’angolo –
raccomandato resta così ferma
mi stringo le mani una sull’altra come
mi stessi da sola dicendo addio
non so se intera e vera
sto trasmigrando sulla tela
sento gli occhi staccarsi dal loro cielo
così a lungo ho fissato la fronte inquieta
le tue dita febbrili cosa mi vuoi strappare?
ho solo questo mio blu spaurito
e tutta l’incertezza del mondo
dal tuo respiro una pena segreta
continua a soffiare m’incendia il viso
ma tu dipingimi ti prego le pupille
fammi occhi chiari ben fissi nei tuoi
dovranno dire a infiniti occhi in stupore
di te di me
nel lunghissimo tempo
da ANDARE PER SALTI