Al mio tempo che passa e si consuma pigro sgomento scarico di memoria e di voce chiedo compagnia, complicità di vento. Ovunque la nostra libertà di corsa porta refoli d’aria tra fiati/otri sgonfi di respiro spasmi che allontanano la vita. La nostra forza di liberare il sole sfolla recinti di nuvole alla calura presta sacche di nebbie e a ogni deserto rovescia linfa e umori. Al vento chiedo frusta di giustizia su questa terra spremuta offesa vuota d’umanità, serva di profezia di nessun verbo, erba voglio di legge su misura. Dal vento, ruffiano in amore, aspetto favori di voglie e moine bisaccia di pane e vino per sazietà di fame a ogni digiuno per non morire in questa sera confusa che avanza e dura. Al vento, che spezza spazza trascina insemina le zolle e cielo e mare rasserena, cerco asilo e somiglianza. Io, aria soffio alito – non più trastullo – oggi di terra e d’anima mi vesto. Partigiano del mio tempo respiro resisto e vivo. Sono vento di fronda.
Fame e sete ci angustiano. Sono castigo e febbre al nostro esodo possibile di ogni direzione. Ma c’è ancora attesa di Pasqua sosta pellegrina al tumulto dell’anima che cerca da sempre risposte al mistero. Ladroni di buio e luce ci ritroviamo come grano sempreverde semi al sepolcro. A te oggi la mia promessa di alleanza e l’ospitalità di mensa.
Qui c’è la nostra terra rosari di paesi grani di ogni mistero tra monti e valli dove il verde è regno che traballa al tisico dei giorni dubbi in successione lebbra d’attese. Nervi tesi a torri e tralicci seminano onde serpi con denti di magnete più dannosi della furia dell’Oceano e svuotano la fede di marinai di terra profughi di sole orfani di acqua e sale. Nervi tesi pelli di tamburo battono con forza note di dissenso. S’alza l’urlo al silenzio e ricaccia nei recinti la paura e i suoi vivi fantasmi. Mani sudate intrecciano attese e dubbi e levano al cielo palmi e pugni di ogni riserbo e fattura. Compagna al disappunto s’adatta cosciente la voce.
Sono fragili le frontiere dell’Africa maghrebina liquide come il sangue che oggi dissolve dittature e nelle vene del mare fa scorrere barche di fuga ricerca/angoscia di salvezza. Africa madre terra Mediterraneo altro genitore da sempre vegliate su figli che hanno secchezza di gola miserie di fame e sete per aridità d’anima che è vento di sabbia al futuro. Oggi la rabbia avvampa tra fuochi beduini di carovane e tende al deserto tra focolari di tetti infuocati di huria da Algeri a Bengasi al Cairo voglia di uguaglianza conquista di cielo in terra oltre le promesse di Allah. Mercenari di guerre fallite hanno mani di rapina e cuore barbaro crudele sordo e cieco alle ragioni di rivolta greggio dell’anima che infiamma Tripoli. Tirannia accresce l’agonia. La guerra è furia assassina madre detestata rifiuta i figli sfonda le porte sventra donne e case e tormenta gli uomini con ripetute stagioni di dolore. Non c’è verso ad invocare pace con parole doppie abusive del senso del cielo fosco ostile violento tonante di corse di uccelli di fuoco angeli di ogni maledizione.
Quando sarai vulnerabile a questa parola ti prego raccogli l’oleandro dai piedi sul dubbio del cancello perché riconosca la strada alle radici di casa. Alessia Iuliano (Termoli, 1995),da Ottobre nei viavai(RP libri, 2018)
Nella folla, la mia folla che vocia e fa ressa capita trovarsi margine estraneo ai luoghi comuni restio alle abitudini eppure guerriero tempra di cento battaglie pronto allo stremo allo scontro allo sfascio. Tra gente che corre distratta è ancora salvezza un granello di idea una scheggia che sfavilla ed infiamma la notte un’unghia spezzata che graffia l’indifferenza una spina che s’inarca e ricuce il dolore. Sprezzo le icone viventi padrone del male e mi contento di essere un frammento d’umanità che sorge all’istante resiste e si ricompone.
Le mani disegnano spazi, geometrie al volteggio svelano movimenti e figure. Mani si intrecciano ora gentili ora audaci e dispensano brividi alla pelle mistero del corpo e dell’anima. Altre diventano catena che affronta i bisogni lo sbando la disperante solitudine. Mani chiedono aiuto: ganci artigli unghie si stringono ai barconi alle portiere dell’auto alle mura ostili della città a chi passa con occhio distratto. Mani sporche canaglie incartano il vero e mistificato lo restituiscono. Mani callose nel fango trovano l’alito vitale. Le mani possono diventare ali senza piume di chi si contenta di essere angelo in terra. Di terra
Amo questa terra che ha sciami e denti di case vive tra colori sbiaditi e carie diffuse che scavano a fitta nel corpo e nell’anima gengive di zolle e lacerti. Amo questa terra che soffre flagelli di vento come via di croce e scosse dentro il suo ventre aborti di esodo e morte come ultima croce. Amo questa terra – sentinella antica disarmata che cerca asilo e voce tra pietre aguzze di confino ed inverni aspri di rovesci e gelo – ribelle a sdegno a colpe a stupro. Amo questa terra cerchio di monti e borghi eco di tuoni e suoni specchio di lampi e stelle e nero che infetta gli uomini dentro ed oltre lo spazio della notte. Amo l’Irpinia. Odio il suo silenzio muto. da FIORI DI CARTA
Aspettiamo un lampo che ferisca e sfarini compattezza di nuvole greggi stipate nell’aria e che riporti il sole smorto convalescente a lesta confortante salute eccitazione di vita. Ha veste di fasi la luna gobba o gonfia come donna matura che rinnova stupore di natale. E le stelle sono mezzane di cielo pronte a favorire complici l’avventura in terra. Spesso una bussola è sapienza di guida per violare il buio e leggere l’ignoto. Dal Sud muovono rotte di naviganti ma l’ago/direzione Nord oggi scoraggia il viaggio. da A PASSO D’UOMO
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