Ti ho detto addio dopo che ho spesa tutta l’amarezza dal grembo e l’ho posata presso di te come una voce strana. Comprendo adesso che io sono un’ombra oltraggiosa magnifica pensosa e che tu rarefai le mie pienezze come si sfa la terra per rubarvi il fortissimo seme della vita. Tu mi hai predata vorticoso come un vento selvaggio ma di questi assai meno pietoso e musicale. perciò io ti riguardo che ti assenti mentre anch’io mi dilungo abbandonata presso la mia mortale era di pace.
Un’armonia mi suona nelle vene, allora simile a Dafne mi trasmuto in un albero alto, Apollo, perché tu non mi fermi. Ma sono una Dafne accecata dal fumo della follia, non ho foglie né fiori, eppure mentre mi trasmigro nasce profonda la luce e nella solitudine arborea volgo una triade di Dei
Veleggio come un’ombra nel sonno del giorno e senza sapere mi riconosco come tanti schierata su un altare per essere mangiata da chissà chi. Io penso che l’inferno sia illuminato di queste stesse strane lampadine. Vogliono cibarsi della mia pena perché la loro forse non s’addormenta mai.
Ore perdute invano nei giardini del manicomio, su e giù per quelle barriere inferocite dai fiori, persi tutti in un sogno di realtà che fuggiva buttata dietro le nostre spalle da non so quale chimera. E dopo un incontro qualche malato sorride alle false feste. Tempo perduto in vorticosi pensieri, assiepati dietro le sbarre come rondini nude. Allora abbiamo ascoltato sermoni, abbiamo moltiplicato i pesci, laggiù vicino al Giordano, ma il Cristo non c’era: dal mondo ci aveva divelti come erbaccia obbrobriosa.
Torna amore vela delicata e libera che occupi il pensiero della mia terra sto morendo sulla grandiosità di un fiume che è rosso di desiderio e vorrebbe travolgere il tuo amore.
Solo un mano d’angelo intatta di sè, del suo amore per sè, potrebbe offrirmi la concavità del suo palmo perché vi riversi il mio pianto. La mano dell’uomo vivente è troppo impigliata nei fili dell’oggi e dell’ieri, è troppo ricolma di vita e di plasma di vita! Non potrà mai la mano dell’uomo mondarsi per il tranquillo pianto del proprio fratello! E dunque, soltanto una mano di angelo bianco dalle lontane radici nutrite d’eterno e d’immenso potrebbe filtrare serena le confessioni dell’uomo senza vibrarne sul fondo in un cenno di viva ripulsa.
Stanotte ho sognato l’amore era tenero come voi e senza carne, ma il suo respiro ha colmato le mie notti di disperazione e di canto. Così è la vostra mano che carezza gli umili e li fa silenziosi come coloro che pur soffrendo non riescono ancora a morire. Ma che cos’è la morte se non un grande albero pieno di canto? Io ho sognato un uomo ma quest’uomo era tutto modellato da Dio. Una parte di quest’uomo era nella vostra bocca. E tutti gli uomini sono stati amati e divorati dagli angeli nel loro immenso amore.
Quando t’investe un sentimento vero, che è come l’uragano, e tu hai paura di perdere la luce e di smettere di vedere le piccole cose di ogni giorno. E pensi che qualcuno, inopinatamente, voglia darti qualcosa sulle spalle. Non capisci se è un cadavere o una grande vittoria. Allora tremi dalla paura e non sai chi sia il portatore di questa chiamata che ti prende le gambe e te le fa tremare. Vorresti parlare e ti si inceppa il volto. Vorresti ridere e diventi un ghigno di lebbra. Ad un certo punto ti senti bello come Lucifero e non sai che questa resurrezione non è un’adolescenza, ma è la maternità della luce, che hai sempre avuto nel grembo.
Non ho bisogno di denaro. Ho bisogno di sentimenti, di parole, di parole scelte sapientemente, di fiori detti pensieri, di rose dette presenze, di sogni che abitino gli alberi, di canzoni che facciano danzare le statue, di stelle che mormorino all’ orecchio degli amanti. Ho bisogno di poesia, questa magia che brucia la pesantezza delle parole, che risveglia le emozioni e dà colori nuovi.
La cosa più superba è la Notte, quando cadono gli ultimi spaventi e l’anima si getta all’avventura. Lui tace nel tuo grembo come riassorbito dal sangue, che finalmente si colora di Dio e tu preghi che taccia per sempre, per non sentirlo come rigoglio fisso fin dentro le pareti.
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