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A., un’adolescente

Alberto Cellotto

Alberto Cellotto

Parla piano per non farsi
capire, dice le cose ma non vuole
lasciarle intendere. A volte parla
da sola per demolire
un tragitto in macchina identico
quasi a mille altri. A. è stata più volte
ripresa: quel bofonchiare da rospa,
lucente per poco,
che nei tratti d’emozione
è acuto e fastidioso, deve
diventare fermo e scuro,
pieno di quella chiarezza
che a volte è più inutile di tutto.
Alberto Cellotto (Treviso, 1978) da Pertiche (La vita felice, 2012)

C’è che quel che c’è

Alberto Cellotto

Alberto Cellotto

C’è che quel che c’è
sotto è nascosto,
il mondo è istante o atomo
di tempo. Non si può essere mai
mare, non si può vedere la luna
ma sulla soglia strofinerò
le polveri delle conchiglie che furono
molti volti. C’è quel che c’è
e è acqua che è fluita
nei tombini all’ombra del ramo,
ha distrutto un’orma sulla pioggia
lasciandoci pesci e insetti.
Falsi indizi dava quel che cade.
Una freccia una treccia sciolta a lato
la feccia di vino che non si lava via.
Sento raccontare ancora che miri
ai piedi, in testa. Non farlo.
Vieni. Non farlo.
Diventa dente, resta come la spina
al sicuro nel cuore del lupo
e annienta il nodo. Senza me non andare
nel viaggio fuori ai fiori
a acqua e fango.
Alberto Cellotto (Treviso, 1978), inedito.

Campagna sotto la nebbia

Alberto Cellotto

Alberto Cellotto

I trattori qui hanno tutti più
di trent’anni. I berretti schiacciati.
C’è chi lavora a un cancello nuovo.
La nebbia avvicina le macchie
chiare del cavallo tra gli occhi,
dentro la rete così improvviso.
Mandano odori
di olio perso e grasso, dietro carri
con tutti i rami che ci stanno.
A volte succede:
cala e resta due giorni interi
a inghiottire qualche vita nella paglia,
gocciola dalle punte alte
degli alberi e fa rumore sull’asfalto,
sui sassi o sui calcinacci stesi
a livellare una buca, lì
dove gira questo primo tempo:
già si infila e scende per la gola,
si ricorda per nome per numero
come un giorno quando finisce.
Alberto Cellotto(Treviso, 1978), inedito

Inesorabile

Alberto Cellotto

Alberto Cellotto

Tanto abbiamo imparato
a sterzare col telefonino all’orecchio, già
prima lo facevamo col giornale
sul volante, e poi so
vedere i cartoni vuoti delle pizze in pila
da una finestra in ribalta,
come ti aspettano all’inizio
di una strada, lazzaretto di animali, e forse
ti chiederò un favore: ricorda il secchio del sole, i buchi neri
di briciole d’asfalto, anche
gli stranieri in raccolta
del radicchio coi cassoni, i sorrisi delle cinesi
così lontani dai loro uomini seri
quando fumano la cicca
a mezzogiorno, fuori da una sartoria
sempre aperta,
ricorda questo quando
dal fondo un siero di petrolio
sale verso il celeste e i corpi starnazzano
uguali ai capitelli e alle carcasse.
Alberto Cellotto (Treviso, 1978), inedito

Presa di forza

Alberto Cellotto

Alberto Cellotto

Se ascolto il sibilo
a vuoto di un banco sega
in un sabato pomeriggio qualsiasi
va a finire che poi aspetto
soltanto il taglio del tronco successivo,
lo schizzo di segatura
o che mi metto a girare col cardano.
Posso anche pensare in dirittura
che tutti noi ci perdiamo di vista così,
come al mattino al banco affettati, quando si
voltano di colpo e ti cercano
cogli occhi un attimo invano dove sei finito
per domandare –e dopo,
e confermare il giusto peso con un dito.​
Alberto Cellotto (Treviso, 1978), inedito

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Alberto Cellotto

Alberto Cellotto

Uguale al treno, quando
tanti scendono e poi, soli, si sale.
Al centro della vita
restano i vestiti e le piante
che precedono i pensieri.
Si sostituiscono alle occasioni
le belle strade.
Resta l’obbligo di dare
precedenza agli incroci
tra i volti, sfollare la memoria
Alberto Cellotto (Treviso, 1978), daPertiche(La Vita Felice, 2012)