Dici che sono una nave, quando dormo una mole in movimento verso il porto frastuono di stive e di ricordi opachi come pesci il giorno dopo Sono il nocchiero e il nostromo del fuoco orizzontale di una rotta invado la voragine del molo dove curva la luna daIl Sosia
a Emilio Rentocchini Le luci sono fioche molto più fioche quest’anno e il freddo punge Il disagio puoi crederlo sottile ma come ammucchiate sotto un tunnel nel chiuso delle case le famiglie già da ore non sanno cosa dire eccetto la sfilza di ricordi di Natale in Natale più abnormi recitati da profili spiegazzati fissi ai soliti posti quando tutta la tavola ricopre una coltre di brina così spessa da sembrare tela grezza, se poi fanno fatica a sopravvivere anche l’alga il lichene la valva dell’unico mollusco risparmiato e tutto è polverio indistinto impercettibile pigro sussulto del creato Alberto Bertoni (Modena, 1955), da Traversate (SEF, 2014)
Sono una Persona Liquida e sola Ostaggio di una lingua nuova Larga, nasale, ventosa E come lei, Pessoa Sono una Persona Nascosta nella storta Luce di Lisbona A sperare che piova daIl Sosia
Per me che sono miope e vedo non vedo il punto di rottura la faglia più nascosta leggera è in agguato una vertigine a raccogliere la luce rasoterra il nero della notte come avanza quel peso della sosta Il digiuno, allora, è forte la chiglia del mio sguardo l’immagini sventrata nessuno scivola o piange e a galla rimane una sillaba sola daIl Sosia
per un ricordo di Antonio Delfini Corri e taci e pensa alla Speranza, solo alla Speranza, la Chimera non è, non sarà… Sei tu, eppure non sei tu molto più grande, più grosso sembri una statua scolpita nell’osso di questo profondissimo muro però senza dubbio sei tu il perduto di oggi che vaghi nel tuo ippodromo Sotto la pelle un lievissimo alone blu, come il resto della luce perché tutto il resto quest’anno è venuto troppo presto la neve in ottobre sul Cimone e il primo sottozero ma dopo più niente solo forse un colore, un odore di ruggine attorno E in te, come sempre troppo presto è venuta quest’ansia implacabile di corsa in mezzo agli altri che ti spingono ti premono ti vogliono sempre più veloce sempre più ladrone di te stesso Ma tu vorresti invece un atrio vuoto, un qualunque corridoio dove fare sosta e tacere, osservare e ancora tacere impietrito nel foro del cunicolo, accucciato, impotente, bloccato di botto Poca roba, come sempre la casa di notte una bolla d’arancione nello scuro a tenerti ancorato al tuo pavimento mezzo sporco al tran tran del mal di fegato nascosto e negato lì nel cuore dell’andito con tutte le conseguenti assenze, lentezze, voglie di volo fino al sole la sicurezza della morte nel guscio di lenzuola scomposte come pozze di fango e la lingua della gatta a caccia di una cimice sulle persiane vuote daIl Sosia
Li voleva vicini a casa, mio padre i campi del calcio minore e non sopportava la pioggia nemmeno di lontano, nemmeno l’odore Preferiva i rimbalzi nella polvere che a due passi dalle aree ingannavano il portiere – quasi una colpa per lui respingere di piede Al suo fianco, scommettevo sull’errore, l’inciampo fra traiettoria e pallone perché anch’io sarei stato portiere ma non un buon portiere inerme davanti alla catastrofe, la rete E troppo magro, un chiodo nel vuoto delle porte il naso all’aria, la certezza dell’errore daIl Sosia
Forse sono io quell’uomo rannicchiato in un’auto uguale che scruta il mio stesso giornale di programmi e risultati senza un ricordo di cui essere geloso Lo scatto di trotto sbilenco questo cuore a riposo da Il Sosia
Sul balcone un rametto di pino piovuto chissà da dove non ramoscello d’ulivo perché oggi non c’è pace e ai piccioni non serve per il nido ma è l’unico detrito ancora vivo di questo mattino domenicale e se tu lo speravi diverso bastava un qualunque gesto, non dico l’aperitivo di coppia al tavolino io nel giubbotto sportivo e tu un qualche trussardi per accorgerci che è tardi le famiglie ci aspettano a pranzo prima di un altro pomeriggio per me di cavalli e di calcio Alberto Bertoni (Modena, 1955), da Le cose dopo. Poesie 1999-2003 (Nino Aragno Editore, 2003)
Le cose dal vero mi fanno paura mi stanano in crepe o appigli di memoria Le cose che guardo scoprendone i nervi e quelle che sfioro coi denti come case catturano la luce per meglio scomporre la grana perlacea l’ordito di polvere e foglie Così mi annienti, se provo a deliziarti di cronache minute a dirti come sei viva in questa mezzanotte di vento in cui non ammetti nemmeno la mia ombra alla tua bocca alle parole che assediano il respiro Sì e no una voglia domenicale accende il finale forse una nuvola resiste dei pollini allo spigolo del viso daIl Sosia
Mi sveglio stamattina e ho la faccia di un gallese il ciuffo a banana, la carnagione rossa ma quando apro bocca non so neanche quel po’ d’inglese sì e no un gorgoglio senza idioma l’anima ridotta a fumo sottoterra Anche il piede destro non funziona quasi subito sbanda, si accartoccia da due giorni promette pioggia Con la birra non va meglio solo un baffo di schiuma sulla bocca che ogni sguardo blocca Va bene svegliarsi presto, avere toccato il letto da poco più di un’ora ma cos’è questo aroma di torba il pavimento nero? daIl Sosia
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