Barolong Seboni
Non ci sono stagioni
in Africa, dicono
solo calde estati che fumano
di nubi tonanti gonfie
di pioggie del tipo convenzionale
e notti invernali che fischiano
sulle sabbie gialle del Kgalagadi.
Dicono che non ci sono stagioni
in Africa, solo un uragano
che sibila attraverso la boscaglia
come una vetta gigantesca che ruota
lasciando muri infranti e capanne
sradicate al suo risveglio,
o il famelico harmattan
che divora la terra vitale
dei mandriani, lasciandola nuda e desolata.
Tu dici che non ci sono stagioni in Africa,
dimentichi i venti furiosi d’autunno
che hanno sparso gli allori di Rodesia?
Non ricordi il vento polveroso
che schiaffeggiava lo Zimbabwe-Rhodesia bifronte,
con soffi e flagelli, cantanto il canto
di raccolti futuri?
Non era questo il vento d’autunno
maturato dalla volontà della gente?
Dimmi ancora che
non ci sono stagioni in Africa,
e io ti mostrerò le foglie che ingialliscono
della rosa inglese in mezzo
alle foreste di mophane, verdi di vigore e forza,
ti mostrerò i petali che appassiscono
della protea sotto il sole bollente di Namibia.
Dimmi che non ci sono stagioni in Africa,
ti mostrerò i colori languenti delle bandiere imperiali;
rosso, bianco, blu reale e pallido arancio
che persono ora il lustro nel calore:
screpolature dei monumenti coloniali
segnate dal tempo.
Non ci sono stagioni in Africa?
Diciamo che oggi è qui la primavera
venuta a far due passi con noi
giù da Harare o da Bulawayo.
La sua brezza benevola vi consoli
le narici con l’aroma
di abbondante flora in boccio,
spalanchi le vostre braccia ad accogliere
il soffio recente di libertà
attraverso le città e i villaggi sfiancati dalla guerra,
e afferri i coriandoli di porpora che fluttuano e cadono
sui marciapiedi alberati, tetti ed automobili;
un festival di fiori oggi ad Harare,
primavera è venuta in Zimbabwe per restare:
la jacaranda è in piena fioritura.