Ne è passato di tempo da che s’udì l’ultima pioggia sopra i ramarri e le formiche. Ora il cielo arde a perdita d’occhio i frutti si dipingono la bocca, i pori della terra si aprono piano piano e accanto all’acqua che stilla sillabando una poderosa pianta guarda negli occhi il sole !
Con la prima goccia di pioggia fu uccisa l’estate Si bagnarono le parole che avevano dato lo splendore alle stelle Tutte le parole che avevano Te come unica meta! Dove stenderemo le nostre mani ora che il tempo ci ignora Dove poseremo i nostri occhi ora che le linee lontane naufragarono nelle nuvole Ora che le tue palpebre si chiusero sui nostri paesaggi E come fossimo invasi dalla nebbia Siamo soli soli accerchiati dalle tue immagini morte.
Oliveti e vigne lontano fino al mare Rosse barche da pesca più lontano fino al ricordo Elitre dorate d’agosto nel sonno meridiano Con alghe o conchiglie. E quella barca Appena varata, verde, che nella pace delle acque del golfo ancora legge «Dio provvede »
Hai un sapore di tempesta sulle labbra – Ma dove vagavi Tutto il giorno nel duro sogno della pietra e del mare Vento da aquile ha spogliato i colli Ha spogliato fino all’osso il tuo desiderio E le pupille dei tuoi occhi hanno accolto il segnale della Chimera Rigando di schiuma il ricordo! Dov’è la consueta erta del breve settembre Nella rossa terra dove giocavi guardando in basso I profondi faveti delle altre fanciulle Gli angoli dove le tue compagne lasciavano bracciate di rosmarino
Anche in un frammento di Briseide e in una conchiglia dell’Euripo. È quel che intendo. Deve avere avuto una fame selvaggia di bonaccia agosto Per volere il meltèmi; così da lasciare un po’ di sale nelle ciglia E nel cielo un blu il cui nome benaugurante sentirai tra molti altri Ma nel profondo è il blu di Iulita Quasi preceduto dal passaggio del respiro di un bimbo Se tanto nitide si stagliano le montagne di fronte E una voce di antica colomba fende l’onda e si perde
Sei emersa dalle viscere del tuono Rabbrividendo fra le pentite nuvole Pietra amara, provata, imperiosa Hai chiesto come primo testimone il sole Per incontrare insieme il rischioso splendore Per aprirti con un’eco trionfante al mare aperto.
Tanto mi accese la febbre di morte che il mio bagliore si rifranse nel sole. E ora m’invia alla perfetta sintassi della pietra e dell’aria. Dunque, quello che cercavo, sono. Estate di lino, cauto autunno Impercettibile inverno La vita paga l’obolo della foglia d’olivo E nella notte degli insensati con un piccolo grillo di nuovo decreta la legalità dell’Imprevisto
Di te hanno sentito parlare le onde, Come carezzi, come baci, Come sussurri il “cosa” e il “sì” Tutt’intorno alla gola, alla baia, Sempre noi la luce e l’ombra Sempre tu la piccola stella e sempre io l’oscuro natante Sempre tu il porto e io il faro di destra Il molo bagnato e il bagliore sopra i remi In alto nella casa con i rampicanti Le rose intrecciate, l’acqua che si fa fredda Sempre tu la statua di pietra e sempre io l’ombra che cresce Tu l’imposta accostata, io il vento che la apre.
Con quali pietre quale sangue e quale ferro con quale fuoco siamo fatti mentre sembriamo solo nuvola e ci lapidano e ci chiamano sognatori come viviamo giorno e notte solo Dio lo sa.
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