Se volessi un mattone dovresti prendere un mattone, per rabberciare una muraglia o per tappare una buca in un pavimento a lisca di pesce. Un mattone: un solido che vive dentro tre dimensioni, pesa, al tatto sembra ruvido o poroso, e lasciato ammucchiato assieme ad altri per lungo tempo fa da nido a millepiedi, ragni e forbicine. Un mattone che esiste, che spaccato col martello fa tac una volta sola, un suono bello, di mattone, secco, preciso. Un mattone conta più delle parole che lo imitano appoggiandosi una sopra l’altra. Io con la poesia vorrei fare mattoni. Massimo Gezzi (Sant’Elpidio a Mare (AP), 1976), daL’attimo dopo (Luca Sossella Editore,2009)
Un tempo dovevano essere diversi, i ritratti dei fratelli: lui in posa contro uno sfondo prevedibile, solenne (la torre, il castello, l’ampio arco del cielo); l’altra stanca, dimessa, presa quasi di sghembo in una stanza poco nobile, magari la cucina. Adesso che li guardi, con la torre, il castello, la cucina ormai deserti da anni, sono foto di una stessa paura, scatti presi di nascosto nello stesso momento. Massimo Gezzi (S.Elpidio a Mare, 1976), da Il numero dei vivi (Donzelli, 2015)
Piove da due giorni: la tenda degli scrosci s’infittisce e si dirada, ma ininterrottamente si propaga la sua nuvola d’acqua.La ragazza stringe una tazza bianca, da cui sale un fumo chiaro. Sorseggia lentamente, tiene il sorso nella bocca prima di spingerlo in gola. Si chiede se la pioggia rappresenti un nuovo stato, se tirando le radici di un luogo le scopriamo infinite. Si abita così, credendosi per sempre. Lei beve a sorsi brevi, nel pensiero raccoglie i frammenti dei volti, si domanda perché mai con la pioggia rifioriscano i ricordi. Massimo Gezzi (Sant’Elpidio a Mare, 1976), da L’attimo dopo (Sossella, 2009)
«Che è?», la tua prima domanda. Oforse non è proprio così, forse solo «Chè?», a proposito di tutto: dei suoni, della luce lontana delle stelle, del tuo corpo e del nostro, delle formiche, perché bastano poche lettere in fila per aprire sprofondi, baratri, orridi che noi ricopriamo con affanno di parole, balbettii: è il ginocchio, sono le stelle, sono formiche che risalgono il muro e lì il cancello. Tu però non desisti: «Chè?», continui a chiedere, anche dopo le risposte. Sillabiamo, ripetiamo, ma sappiamo benissimo che hai ragione tu. Massimo Gezzi
(S. Elpidio a Mare, 1976), daIl numero dei vivi (Donzelli, 2015)
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