E’ come dici tu, dovrei ripartire. Non sono mai stato felice in una casa. Non sono mai stato felice in famiglia. Non ho mai avuto nostalgia, quando ero solo e lontano. Tutta la meraviglia del mondo per me era la passeggiata alta sul mare quando, i libri di scuola in una cartella, a passo veloce andavo, e inspiravo il vento colore del salino e delle agavi e fingevo di avere una ragazza per mano:la meraviglia, la razza forte dei sogni, i libri, il cinema, i lunghi viaggi i treno, le lunghe traversate dell’anima ma mai i muri di una casa, mai. Da Dialogo del poeta e del messaggero, Mondadori 1992
Sono qui seduto su un tappeto di foglie e fiori di primavera e il mio silenzio è una preghiera ed ho con me la coppa e il vino. Se la mia Amata fosse vicino se la sua bocca lucente fosse qui. Il profumo dei suoi baci è più dolce del gelsomino. Dicono che sono saggio perché conosco tutte le parole di Dio e so che il suo volto non si vede ma a tutti i roseti concede la sua porpora e il suo fuoco. Ma io sono saggio perché bevo ,gioco canto mentre il tempo ci rapina. Quante rose si apriranno stamattina e quante ne cadranno domani o sotto le raffiche degli uragani avvizziranno. Il tempo ci affratella noi che ci muoviamo sotto lo stesso cielo. Non è la stessa per noi tutti quella luna che sembra una melagrana staccata lentamente dal suo ramo? Ma io sono saggio perché amo Da Canti d’Oriente e d’Occidente, Mondadori 1997
Ad Yves Bonnefoy Oso invocarti in questa Europa cieca sfiancata da calura e siccità corrosa da diluvi e frane, continente di cenere e liquami dove sono sovrani incontestati Nulla ed Ipermercati. Oso invocarti e sperare, oh Poesia. Senza essere né Davide né Salomone senza possedere né Betsabea né la Sunemita e senza conoscere il linguaggio degli sparvieri e delle formiche io ti invoco, ritorna ritorna come un maggio luminoso-selvaggio e come il primo raggio soffiante –biancheggiante dell’alba. Ritorna, ritorna. Ritorna foreste, anime, cattedrali. Ritorna azzurri giardini orientali. Ritorna , ritorna Vergine, Venere, Africa. Non sarai più la stessa migrerai, muterai e noi non ti vedremo come non vide Mosé la Terra Promessa. Ma ritorna, ritorna, oh Poesia. Oso invocarti e sperare. Seduto su una sponda del torrente in secca ad aspettare. E ancora tra le rovine a cantare. Nizza, ottobre 2003 Da Ferite e rifioriture, Mondadori 2006
Saranno state le due o le tre l’altra mattina quando sono entrato nel letto e ti ho parlato. Tu dormivi e ho premuto la mia palpebra contro la tua calda. Volevo dirti parole che ci sono estranee, quelle dell’amore che eterna: era tragica la mia resa: le regole del gioco cadute. Così dietro le nostre palpebre non gli occhi, le orbite. Le nostre dita di pietra e i nostri fianchi fondali e laghi i nostri piedi fluiti e ormai viticci e nidi per le civette. Non saremo più insieme. Non ne parleremo mai più. Futuri venti soffieranno sulle nostre finestre dal mare lontano noi saremo topi meduse fiori
Though they sink through the sea they shall rise again; though lovers be lost love shall not. (Dylan Thomas, “And death shall have no dominion”) Giuseppe era il mio nome di cristiano, ora non ho più nome: sono api e lucertole, pietre e mimose, il mare:lei non mi potrà riconoscere. Lei non mi potrà più dire: amore. Potremo volare insieme all’alveare del sole, vicini e sconosciuti, rovinare in frane scoscese sulle spiagge rocciose, essere due conchiglie nel silenzio del fondale. Da L’Oceano e il Ragazzo,BUR 1983, TEA 2002
Ci pensi, non ho mai piantato un albero, non ho mai avuto un figlio. Tanto assomiglio al mare, solitario, sterile. Né un crespo cipresso, né un salice umido e lento, né un’euforbia diramata a delta, né un pesco né un susino né un melo ho mai fatto crescere, né un ramo rosa o candido a marzo, né un piccolo di uomo. Come l’onda percuote la riva senza fecondarla, senza lasciarvi altro che alghe e consunte radici così –non lo dici ?- io percuoto la vita. Eppure l’ho amata, la terra, ti ho amata. Da Le stagioni, BUR, 1988
A Giuseppe Ungaretti e a Henry Miller Amare sempre amare tutto l’alba e il tramonto il seme e il frutto le onde quando infuriano la geometria delle stelle le api dentro i calici gli sciami delle farfalle le nuvole che volano e si addensano in cielo il vento e la siccità la grandine ed il gelo il vino dentro la botte lo sperma della notte amare sempre amare tutto la rovina e la crescita la gioia e il lutto la carne che ti scardina l’angelo che ti sfiora la giovinezza torbida l’esitante vecchiaia il dio dell’invisibile dovunque egli ti appaia amare nei suoi contrasti la vita tutta intera e amarla sino alla fine cercando la primavera. Giuseppe Conte(Porto Maurizio, 1945), da Poesie 1983-2015 (Mondadori, 2015)
Non sapevo che cosa è un poeta quando guidavo alla guerra i carri e il cavallo Xanto mi parlava. Ma è passata come una cometa l’età ragazza di Ettore e di Achille: non sono diventato altro che un uomo: la mia anima si cerca ora nelle acque e nel fuoco, nelle mille famiglie dei fiori e degli alberi negli eroi che io non sono nei giardini dove tutta la pena di nascere e morire è così leggera. Forse il poeta è un uomo che ha in sé la crudele pietà di ogni primavera.
Il mio demone è un senzatetto senza paura della tempesta uno che abita la battigia uno che abita la frontiera uno che sulla sabbia nera corre e fa capriole aspettando che torni il sole. Onde e vento lo prendono schiume, salino, nuvole e lui continua a correre tra nebbie che disorientano e fulmini che scardinano. Se io con lui mi lamento che sono un bronco gettato sulla riva dalla marea orme di cani e gabbiani un groppo di nudi rami, ride, mia vita, e dice: “Tu sei quello che ami.” Giuseppe Conte (Porto Maurizio, 1945), da Poesie 1983-2015(Mondadori, 2015)
Sibila il cellulare lasciato sul copriletto nella mia camera d’albergo simile ad un insetto levigato, ingigantito. Mi risveglio e lo prendo. E’ la voce che attendo. Ti dico grazie, vita. Domenica mattina e tu mi sei vicina da un mare all’altro mare va chiara la tua voce. Forse tu mi vuoi ancora. Miracolo che continua. Luce di un’altra aurora.
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