Un uomo si china su di me come sopra l’acqua. Nello specchio della mia acqua desidera vedere il suo volto. Ma la mia acqua è scura, scura e profonda e non gli rinvia il riflesso. L’uomo cerca, sorpreso, stupefatto, e temo che salterà dentro, in me, per frugare nel mio profondo il suo viso morto, morto.
Voglio parlare di te notte voglio parlare dell’alba voglio parlare del bosco che sorge da te (tu sei l’utero dell’universo tu concepisci ciò che esiste) come si delineano dapprima i contorni come in seguito aggiungi premeditatamente le foglie e prepari i tronchi affinché risplendano nella luce solare e questo è l’attimo che io fermo per sentirlo profondamente quando il buio s’intreccia con gli atomi della luce quando il crepuscolo è palpitante e promette la nascita quando quatto quatto si trattiene fino a soffrirne e lo stridore dell’attesa trascende in giubilo del giorno quando è pieno zeppo saturo e colmo di silenzio quando è sul punto di proprio sul punto
due si spogliano si tolgono le vesti si sfilano le scarpe si levano i gioielli e l’orologio si denudano completamente continuano a spogliarsi con mani carezzevoli si tolgono la professione il nome le abitudini quotidiane con baci pazienti si liberano dei loro amori trascorsi delle loro attese con morsi profondi si disfano degli anni della loro passione con la bocca a vicenda si sbarazzano del sesso si svestono dell’infanzia (operazione lunghissima) si tolgono di dosso la mamma e il padre con energici lavacri forti abbracci e strusciate di corpo a corpo ed effusione di linfa raggiungono le tenebre mai nominate alle quali danno a ritroso dei nomi che man mano dimenticano quando s’infiammano continuano a spogliarsi attraverso il riso il pianto i gemiti e le grida fino all’innominabile carnalità di là della nascita sono nudi
Mi sveglio con la calda lingua di un cervo tra le gambe. attraverso la porta aperta penetra la piana luce della sera. il cervo mi punzecchia lievemente i seni leccandoli. lascio che con la ruvida lingua mi lambisca il sesso, il petto e il viso, m’inebria il suo profumo, profumo di terra, di muschio, di fradicio e di paura. odore d’istinto. poi mi si sdraia accanto, accanto al mio ventre, da poter accarezzare i suoi peli setolosi, ha la testa vigile sollevata e lo sguardo fisso lateralmente, nel bosco.
nell’oscurità risalta il suo nudo pene rosso. quando il tempo si addensa e tendo il braccio nel buio, sfioro un corpo maschile. la mia smania d’amore è cocente. mi ama con naturalezza e da vicino. nelle mani ha i venti del nord e del sud. attraverso il suo corpo scorrono i fiumi e si muovono gli oceani. la bocca è calda e piena come la pioggia estiva, la stanza è colma di voci terrestri ed extraterrestri. a volte qualche raggio smarrito della luna gli scopre il volto. non mi guarda negli occhi come se volesse difendermi da se stesso.
talvolta mi ama con trasporto da non farmi sentire più la gravità. talvolta la voluttà sgorga dal suo ombelico come una piccola sorgente limpida, talvolta dal suo interno vomita la lava, ma non mi ferisce mai. sempre con immensa attenzione mi posa con il ventre sulla terra, e quando mi morde il collo e fiuto il suo caldo alito, lo so che verrò inevitabilmente risparmiata.
ai primi albori nei suoi capelli tasto due cornetti le setole dalla testa si allargano sulla schiena, fino al coccige. sul ventre gli spunta la soffice erba animale. all’alba mi scruta una testa di cervo con occhi ormai appena umani, con occhi di là del confine. le sempre più coriacee mani mi accarezzano assenti. gli cresce una corona.
nel capanno si fa strada la fragranza del mattino e il cervo si alza. quando esco davanti alla porta, mi guarda in maniera da spaccarmi in due pezzi sull’istante e bruciarmi. e mentre ascolto frusciare l’eco dei suoi veloci passi animaleschi, sento che dalle mie due riarse metà crescono fiori selvatici.
Quando arriverò canterò. La mia poesia sarà luce che induce i fiori a crescere e la gente ad amare. Tutto è possibile, tutto. Dal ventre si espande la luce. Tutto è perdonato, tutto appianato. Ogni foglia si muove nell’amore.
Ho due animali. Uno rosso e l’altro azzurro. Quando l’azzurro beve, il rosso scorrazza. E viceversa. Non riesco mai a catturarli, tesa tra quello che riposa e quello che corre. Lascerò andare un pensiero come richiamo lontano lontano nella pianura. Non se ne accorgeranno fiutando l’immenso coi musi. Mi sdraierò sull’erba vicino a una sorgente e mi addormenterò. La luna mi coprirà. All’alba coi primi raggi verticali verranno da me. Stanchi, sudati, con i musi schiumosi. Dopo berremo insieme l’acqua. nell’amore.
è bello nascere in una giovane giornata di primavera, non è vero? anche se questo mistero, del resto mai spiegato, è stato vissuto già innumerevoli volte. anche se la gioia già innumerevoli volte è stata assaporata, ma mai bevuta fino in fondo. e, luce, innumerevoli volte mi cerco nelle trasparenti foglie dei germogli e accarezzo il seme che porta in sé un dolce segreto – la morte. ho tanta, tanta smania di questa oscura felicità nel cui spazio germino la vita, la cresco e la moltiplico e maturo nel morbido nulla – culla di Dio.
Non danneggiarmi quando mi penetri. Ferita dalla tua morbidezza e dalla tenerezza. Le forze a stento mantengono ancora l’equilibrio. Conosco il tuo acume, la tua sottigliezza. Con gesto lento, preciso abbatterai gli argini. Nel cielo comincerà a risplendere l’aurora polare.
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