Questi tetti spinosi dopo la trebbiatura risplendono sull’aia estiva questi cieli che si sono esposti al sole d’improvviso anneriscono il mare si restringe argentee tegole abbaglianti due alberi si precipitano in direzioni opposte due carestie seminate con il grano di un uomo la morte dell’anno prossimo è già obsoleta il sole s’è spezzato il collo i tuoi occhi spianano e smascherano la città folle.
una poesia dei vivi è quanto di più vicino ai morti
una possibile tomba nascosta in cielo
come un’impossibile soffitta chiude a chiave nella polvere
un ragno o una mosca
i cadaveri sono scatole intagliate che i fantasmi prenotano per abitarvi
aspettando che la mia mano quando si apre lasci impronte
il topo della scala appena calpestato ritorna in vita
luce risvegliata cent’anni fa
che con stridule grida taglia via l’ombra della fantasia del poeta
una nuvola in piedi sulle tegole
abituata a decomporsi in caviglie grigiastre
declama quanto di più vicino ai vivi
e come reliquie che rovistano fra le mie dita
esibisce la vergogna che ogni uomo dovrebbe sentire
i giorni strappano via le maschere dei giorni che altro resta? la balia che ti batte sulla spalla è come sempre il cielo pieno di desiderio omicida la finestra più antica dei denti di squalo quando viene perduta guarda al mare una lingua blu lecca risoluta la guida di viaggio tanto eccitata che la carne sulla spiaggia è tutta nuda nell’ardore la morte sta accelerando una brezza può scuotere questo mondo il vento dell’ultimo giorno chi è l’ultimo bambino rimasto? ogni volto nasconde roccia dietro al volto proprio nella preistoria ricorrono carestie nutrite da due mani la polvere del mare vola in piedi sulle gambe dei ragni un albero splendente è carico di esche di fiori seduce chi da millenni è sedotto tu
lentamente sorseggiano un the – si addensa il crepuscolo persino su uno strato di aghi di pino oscilla la luna l’albero che profuma di pino solido si sostiene l’ombra dei monti circostanti – diffonde il cinguettio del giorno una panca di pietra verde rinchiude il viaggiatore nell’ascolto attento – a loro viene tolto l’accento una tazza di porcellana raddensa la lontananza come giada quando leggera si appoggia è ancora tiepida e trasparente
nella lingua dei corvi ogni mattino muore un’altra volta con le tenebre i corvi esibiscono luce tombe verdi di nuovo calpestate la foresta mostra il suo profilo la carne dei morti ingrassa nei pini ma orecchie sottili e trasparenti di notte stanno appese su tutti i rami il silenzio dopo la morte vi risveglia di soprassalto solo da morti ascoltate in una testa ripugnante come il pensiero fa il raccolto della tempesta testa che puntuale spia nelle stanze da letto scoppiando a ridere arrogante quanto un carceriere calvo corvo ben avvolto nell’uniforme presa in prestito dalla notte ancora più nudo doratura sugli scritti dell’estate le tenere manine che lente camminano sull’erba si strappano le unghie una ad una i vostri libri di testo sono stampati in sogno vanno a scuola nel sonno piumati dalla testa ai piedi nuotano ascoltano l’acqua del fiume scavare nel corpo una grotta più bianca della luce di nuovo da ciò che non si riesce a sentire alte grida spaventose.
nei cimiteri cinesi i pini respirano così come crescono ma il vento cambia tranquillo la direzione della giornata l’aratro va avanti e indietro fino alla fine del campo verde fertile libro di agosto la vita semina i semi dei morti la notte tutte le stelle viaggiano in un pozzo di giada per tutta l’estate leggi una biografia l’ombra del pino è immersa nell’acqua una sedia piena d’acqua è incisa in un bassorilievo il mare lontano va in collera da solo canti di uccelli inondano il cielo quasi non cantassero leggi come se non avessi letto niente c’è solo l’arte che scuote un pomeriggio e lo rende nero.
quella è la tua casa casa come ombra edificio che sul prato allarga il crepuscolo i canti degli uccelli vengono abbattuti dal cielo le lingue delicate delle foglie discutono di nuovo della stanca tempesta anche l’ombra è stanca ciechi messi in fila senza saperlo cadono nel precipizio
quella è la tua casa casa senza te tu sei dovuto come il debito di un incubo un topo balza sul pavimento si ammala e scivola topo come ombra il volto sempre più scuro bocca color di rosa apre a morsi la porta dell’elegia quando il giorno muore tu vai ad abitare in una candela marcia
afona come quattro pareti che simulano la vita la luce cavalca la più fragile delle pietre infiltrata sotto terra
si infiltra dentro te l’ombra come un padrone entusiasta apre il balcone della notte ammira quel paesaggio un altro gatto selvatico va a caccia della sua stessa paura un’altra testa viene conclusa da chiodi conficcati nelle stelle bianco argenteo come erbacce le tenebre paralizzate che si ergono dritte cancellano il tu di un anno che un giorno invecchierà come la spaventosa luce lunare cancella questa terra vuota
chi dice che i morti possono abbracciare?
come cavalli meravigliosi
criniere grigio argento
stando fuori della finestra nella gelida luce lunare
i morti vengono sepolti nei giorni del passato
in giorni passati da poco
i pazzi furono legati ai letti
rigidi come chiodi di ferro
a bloccare il legname dell’oscurità
il coperchio della bara ogni giorno
serrando in questo modo
chi dice che i morti sono morti e andati?
i morti
avvolti nel vagabondaggio dei loro giorni estremi
sono sempre i padroni
quattro loro volti su quattro mura
tuttavia ancora macelleria
sangue
è ancora l’unico paesaggio famoso
a dormire nella tomba furono fortunati
ma si risvegliarono in
un domani gli uccelli temono persino di più
questo senza dubbio è un anno perfettamente ordinario
Traduzione di Tomaso Kemeny
Il primato della poesia a cura di Tomaso Kemeny
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