Che bocche avete, che dita. Quanti denti. Che morsi. Come inghiottite, come poppate ad occhi chiusi, a lunghi sorsi sognanti dalla bottiglia. Io – grazie, no, non ho sete, non ho appetito. Umberto Fiori (Sarzana, 1949) da Voi (Mondadori, 2009)
L’altra sera sul treno (l’ultimo, sempre pieno) una ragazza, dando ogni tanto un’occhiata rapida in giro, scherzava a voce alta sui suoi amori finiti male, del suo nuovo lavoro nello studio di un avvocato, su quanto lei era brava – però il lavoro: triste – e si faceva i conti in tasca in pubblico, lira per lira. Quando si mettono a nudo in questo modo, di fronte a gente mai vista, e la vita – la loro – te la mettono in piazza come quella di chiunque, così, ridotta all’osso, sono talmente belle certe persone, talmente pure che ti fanno tremare. Parlano come se fossimo tutti di tutti. Si mettono nelle mani di chi è lì come un cane che si lascia stringere il muso dal padrone, con le orecchie abbassate e gli occhi chiusi. A sentirle parlare anche tu chiudi gli occhi: sprofondare vorresti, e invece cresci, dentro, diventi ripido, sconfinato e potente come quel niente che le ha fatte nascere. Umberto Fiori (Sarzana, 1949), da Tutti (Marcos y Marcos, 1998)
Dopo una cena, quando si resta ancora seduti a tavola ma non si parla della stessa cosa (qua gridano, là scherzano e discutono e ridono senza capire), quando intorno le voci si accavallano e i discorsi si incrociano, c’è chi stretto in mezzo al rumore guarda nel piatto e se ne sta lì zitto, pieno di noia e di pazienza, come un bambino lasciato troppo tempo in mezzo ai grandi. Ogni argomento, ormai, lo confonde. Allora guarda fuori, sopra le case, lontano, finché gli sembra chiaro cosa dice questo frastuono. Sente il segnale che si manda il mondo. Sente tutte le bocche nella sala fare una frase sola,affannata e serena, una preghiera come quella che corre sotto i treni o dentro il ritmo della lavatrice. Umberto Fiori (Sarzana, 1949) da Chiarimenti (Marcos y Marcos 1995)
Eccovi ancora. Ecco l’accusa: il muro, la strada, il glicine, brillano negli occhi di qualcuno. Io. Uno. E uno è troppo poco. È niente. È il suo rimorso. Invece voi – là, tranquilli: siete i milioni, gli infiniti. Chi potrebbe scampare ai vostri inviti, ai vostri giochi? Sì, eccomi. Forza coi quattro cantoni, la mosca cieca. Via con la musica. Pronti col ballo dell’orso. Umberto Fiori (Sarzana, 1949), da Voi (Mondadori, 2009)
Ero alle corde, a furia di domande; ero preso in una rete di argomenti sempre più forti, sempre più stringenti. Perché è così: quando ti chiama quello che mette in ordine il mondo, quello che tiene insieme persone e cose, quello che costringe a darsi ragione o torto – non si scappa, tocca dar retta, tocca rispondere all’appello. Ma quando si distrae per un momento e allenta la stretta, e si sta come una rana in una mano aperta, è bello. Umberto Fiori (Sarzana, 1949), Poesie 1986-2014 (Mondadori, 2014)
Che poi- anch’io sono voi. E voi siete io, si sa. Ma sarà vero? Guardo la schiera delle vostre facce, così chiare e segrete qui di fronte, il riflesso della mia, là, nel buio del finestrino. Guardo le schiene, i baveri, gli stivali. Se siamo uguali, se siamo lo stesso, che cos’è questo male, questo bene che ci separa? Umberto Fiori (Sarzano, 1949) da Voi (Mondadori, 2009)
Uno vorrebbe che nessuno mai capisse male. Quello che si dice vorrebbe che non fosse mai confuso, strano, o difficile. Come tutti esprimersi, come usa. Le cifre stampate in fondo al foglio alla vocetotale: chiaro così. Spiegarsi come queste belle giornate. Umberto Fiori (Sarzana, 1949), da Poesie 1986-2014 (Mondadori, 2014)
Alte sopra la tangenziale, chiare, due case con in mezzo un capannone. E’ questa l’apparizione, ma non c’è niente da annunciare. Eppure solo a vederli là fermi, diritti davanti al sole, i muri ti consolano più di qualsiasi parola. Cancellate, ringhiere, scale, colonne, cornicioni: ha l’aria, tutto, come se qualcuno dovesse veramente rimanere. Umberto Fiori(Sarzana, 1949), da Esempi (Marcos y Marcos, 1992)
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