Una foglia e l’altra. Un’altra di diverso colore e nelle mani dalla carne sfiorita le tieni inespresse, costrette solamente alla loro bellezza. Mi sorridi e d’intorno sei sospensione del tempo, un filo d’erba che ignora il suo prato. Incantevole dono il tuo. Da le beatitudini della malattia 2013, Einaudi
Lì in fondo ad ogni ultimo verso improvvisa è la perdita di coscienza. Lettore, io emetto suoni su tempi deboli, che siano essi di giorni riposti o demenza, così l’alcol, così l’amore e la morte. Sono queste le mie verità, lasciano le visioni accese persino al gelo notturno. Che nella notte, io le rumino. ma nel giorno, io di loro mi alimento. Da sincope 2018, Einaudi
Curo i prati come il pavimento della mia casa, guardo l’erba come il tappeto sul quale allignano i figli e un tempo contento. Non vi è obbligo di appartenenza. Ogni filo d’erba è una spettanza, il diritto per l’umiltà di un altro che l’ha preceduto e che io ho falciato, raccolto e scelto per necessità e dottrina. Pulire i prati è levare loro i sassi e contarli, come un atto di compassione ad ogni riverenza che gli concedi. È raccogliere terra sputata dal fondo e seminarla, di nuovo, in segno di generosità verso essa. È forse un lavoro ingrato e fermo al punto di partenza ma è anche la mia confessione fedele, la coscienza che mi riconosco addosso, di essere qui anche per questo. Da la terra più del paradiso 2008, Einaudi
C’è un’avidità ordinaria riposta fra il torace e il bacino, confidenza continua di visceri a voce bassa. Si pronuncia cupo e profondo da mattina a sera un linguaggio impudente, che senza fare nulla si preoccupa soltanto di mangiare e di bere. E predica infame, sembra stia in continuo digiuno, è recipiente degli ingordi rapporti questo ventre in abbandono. In passato mi è stato utero, un felice grembo materno, testimone che lì dentro si conferma l’esistenza. Io da fuori l’ho accolta, tenuta tra le mani, curata e cresciuta. Ora questa è cosa cessata. Dò quindi ai versi un tempo trascorso al quale ho potuto dire: madre, io dimentico me stessa, eppure sono tutta in accordo col mondo. Questo è ora il mio volume. Guarda dunque, risolvo i miei passi con ritmo pesante, ciò che porto con me è la vita. Quale ornamento per questo cervello di poeta sventrato dal pensiero, sempre unico del parto. Ma in questo altro tempo il sempre è solo memoria di una sua precedente condotta. Questo ventre è luogo dove non passa nessuno. Credo di avere ragione a chiamarlo il ventre della poeta. Da sincope 2018, Einaudi
È cammino casto il ritorno dal Fanes, zoccolo che pesta lento ogni fine di estate. E così siamo soli nell’ampio paesaggio, ci facciamo villani dai riservati silenzi, accodati alle mucche per rispetto verso il loro sentiero saputo. Io guardo commossa e sono fortunata persona, ma se solo potesse l’anima stare nel tondo ventre di vacca, come a settembre un vitello al ritorno. Con la quiete rivolta in avanti, senza sapere per dove ma sicura di un approdo, cullata e nel caldo, verso un fieno tagliato di nuovo ogni qualvolta finisce l’erba. Da la terra più del paradiso 2008, Einaudi
Ho compreso, colmato di carezze il silenzio, ho trasportato il suo acume dalla tua carità alle mie orecchie, per non ricusare, oppormi alla tua quiete. Mi hai portata nella tua mancanza di suono, nel non dire, tra le pause della tua voce e mi hai accompagnata fino all’assenza totale dei rumori. Ho capito l’astensione del parlare, la muta esistenza del corpo. Mi hai dato in mano il suo accordo all’abbandono delle richieste, dei tuoi desideri. Mi hai consegnato tutto nella tua privazione e senza rimpianto e senza nostalgia da un giorno all’altro non hai più detto, non hai proferito, non risposto, non hai capito. E da lì, dal tuo tempo distante, coerente luogo il tuo, non hai cambiato silenzio, non lo hai più tradito. Da le beatitudini della malattia 2013, Einaudi
Nel profilo della carne mi presento, terra promessa avuta in dono dalla natura che dal seno su verso il collo la mia partitura ha note incise tra i capillari e le arterie profonde, ascolta questa è musica del mio tempo, da quando il mio respiro ha dato inizio al componimento della mia esistenza. Qui nel profilo della mia carne ora il tuo guardare è su di me lavoro d’incavo, vocabolario dei tuoi pensieri, che mi graffia la fronte, lingua efficace delle profondità non dette che mi penetra la natura e oltre. E non ti accorgi che stai raccogliendo il tuo sguardo sulla mia anima, mentre io dal profilo di questa carne vedo te, inesorabile nel tuo elemento materiale. Da sincope 2018, Einaudi
Credo nelle anime sante, nella loro indipendenza conquistata sui sensi di una preghiera. Credo nel lamento di un uomo in agonia, inaccessibile silenzio degli ultimi istanti in una vita. Credo nel lavaggio del suo corpo fermo, nel suo vestito a festa e nell’incrocio delle mani, testimoni di un battesimo confidato. Credo nella gloria dei vinti. Credo nelle loro carni piegate sotto le macerie, i loro respiri cessati. Credo nelle distese di orti trasformati, dentro al loro recinto le ossa dei popoli ammazzati. Credo nei miserabili che annegano alle porte d’Italia. Credo in quelli che rimangono e il giorno dopo chiamiamo clandestini. Credo nelle loro bambine vendute ai nostri piaceri, nella loro tristezza che sorride vittima di un rossetto ingrato. Credo negli angeli senza ali, in quelli che a piedi nudi camminano dentro a una fede. Credo nel mondo, quello fuori dalla vetrina in ginocchio a guardare dentro. Credo nel colore delle pelli che indossa, negli occhi neri dei figli che perde affamati. Credo nella verità delle madri e del loro amore. Credo nella miseria e nell’umiltà di questi versi. Credo nella bellezza e qui conviene fermarmi. Da la terra più del paradiso 2008, Einaudi
Come scrivere altro, altre immagini se quieta sera mi raccoglie sempre uguale, che le storie tristemente volute e contorte rendono simili i versi al dare saggio della propria bravura. Niente di tutto ciò mi lega, che intorno al corpo ho intera l’umana condizione, colei che si addormenta per stanchezza e spessore di mano. Sottratta vita a ogni profanazione, per sacro sentire l’odore indubitabile delle mani d’inverno. È odore di stalla, di latte e di urina, di fieni concilianti al freddo e nel mite lume raccogliere in uno sguardo l’ordine in un fienile. Ciò è per me intelletto, facoltà di intuire il rapporto nella pratica del rigore. Nulla dipende dai nostri umori soltanto, niente dalle nostre possibilità creative. A cosa serve sapere e compiacersi del sapere se non per distinguere un filo d’erba da un altro. Da le beatitudini della malattia 2013, Einaudi
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