Niente può consolarmi. Potete portare seta per far sospirare la mia pelle, dispensare rose gialle come fa qualche vecchio dignitario. Potete continuare a ripetermi che sono insostenibile (questo lo so): eppure, nulla tramuta l’oro in granoturco, non vi è nulla di dolce per il dente che vi si frantuma. Non chiederò l’impossibile; a camminare si impara camminando. Col tempo scorderò questo mio traboccare di vuoto, potrò sorridere ancora a un uccello, forse, che abbandona il nido – ma non sarà felicità, poiché quella, io, l’ho conosciuta
Chiunque sia qualcuno vuol essere un albero – o cavalcarne uno, i capelli spumati dal vento. È per questo che hanno inventato i cavalli, e le selle sono state equipaggiate con singolari stelle. È per questo che intrecciamo le loro ruvide criniere come fossero bambini, per questo accade che i bambini all’inizio abbiano paura di una giostra, per il modo in cui si ostina a dire che la vita è tonda. No, rispondiamo: c’è la musica, ma poi si ferma; il bello sempre sale e sempre scende. Li chiamiamo, e i bambini in coro: Ancora, ancora. Nell’albero la linfa luminosa ascende
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