Vita della mia vita, sempre cercherò di conservare puro il mio corpo, sapendo che la tua carezza vivente mi sfiora tutte le membra. Sempre cercherò di allontanare ogni falsità dai miei pensieri, sapendo che tu sei la verità che nella mente mi ha acceso la luce della ragione. Sempre cercherò di scacciare ogni malvagità dal mio cuore, e di farvi fiorire l’amore, sapendo che hai la tua dimora nel più profondo del cuore. E sempre cercherò nelle mie azioni di rivelare te, sapendo che è il tuo potere che mi dà la forza di agire.
Del dolore del mondo ho preso atto nella mia poesia e del mio volto degli altri. Ho viaggiato per Paesi su vagoni piombati e ho abitato in case che non avevano finestre. Ho profetizzato il passato e al futuro ho scritto una postfazione. Dei miei sogni è rimasto: la loro irrealizzabilità. Noi tutti abbiamo lo stesso nemico, noi stessi, e la stessa madre, che ci diede il petto sul quale morivamo di sete. Quando arriverà il momento, mi metterò in cammino per cercare mio fratello. Non può essere più tanto lontano.
Traduzione di Nadia Centorbi
Poesia n. 295 Luglio/Agosto 2014 Hans Sahl. I volti dell’esilio a cura di Nadia Centorbi
Smettila di cantare i tuoi inni, di recitare le tue orazioni! Chi adori in quest’angolo buio e solitario d’un tempio le cui porte sono tutte chiuse? Apri i tuoi occhi e guarda: non è qui il tuo Dio. E’ là dove l’aratore ara la dura terra, dove lo spaccapietre lavora alla strada. E’ con loro nel sole e nella pioggia, la sua veste è coperta di polvere. Levati il manto sacro e scendi con lui nella polvere. Liberazione? Dove credi di poter trovare liberazione? li tuo stesso signore ha preso su di sé lietamente i legami della creazione – è legato a noi tutti per sempre. Lascia le tue meditazioni, abbandona l’incenso e i tuoi fiori! Che male c’è se le tue vesti diventano sporche e stracciate? Va incontro a lui, sta presso di lui nel lavoro e nel sudore della fronte.
Qui è il tuo sgabello e qui riposa i tuoi piedi dove vivono i più poveri, i più umili, i perduti. Quando a te io cerco d’inchinarmi, la mia riverenza non riesce ad arrivare tanto in basso dove i tuoi piedi riposano tra i più poveri, i più umili, i perduti. L’orgoglio non si può accostare dove tu cammini, indossando le vesti dei più poveri, dei più umili e dei perduti. Il mio cuore non riesce a trovare la strada per scendere laggiù dove tu ti accompagni a coloro che non hanno compagni, tra i più poveri, i più umili, e i perduti.
Quando mi comandi di cantare, il mio cuore sembra scoppiare d’orgoglio e fisso il tuo volto e le lacrime mi riempiono gli occhi. Tutto ciò che nella mia vita vi è di aspro e discorde si fonde in dolce armonia, e la mia adorazione stende l’ali come un uccello felice nel suo volo a traverso il mare. So che ti diletti del mio canto, che soltanto come cantore posso presentarmi al tuo cospetto. Con l’ala distesa del mio canto sfioro i tuoi piedi, che mai avrei pensato di poter sfiorare. Ebbro della felicità del mio canto dimentico me stesso e chiamo amico te che sei il mio signore.
O stolto, che cerchi di portare te stesso sulle tue spalle! Mendicante, che vieni a mendicare alla porta della tua casa! Deponi ogni fardello in queste mani che tutto sanno sopportare, non voltarti mai indietro a guardare il passato, con rimpianto. Il desiderio subito spegne la fiamma d’ogni lampada che sfiora. E’ empio – non prendere doni dalle sue mani impure. Accetta soltanto quello ch’è offerto dall’amore.
Non so come tu canti, mio signore! Sempre ti ascolto in silenzioso stupore. La luce della tua musica illumina il mondo. Il soffio della tua musica corre da cielo a cielo. L’onda sacra della tua musica irrompe tra gli ostacoli pietrosi e scorre impetuosa in avanti. Il cuore anela di unirsi al tuo canto, ma invano cerco una voce. Vorrei parlare, ma le mie parole non si fondono in canti e impotente grido. Hai fatto prigioniero il mio cuore nelle infinite reti della tua musica.
Mi hai fatto senza fine questa è la tua volontà. Questo fragile vaso continuamente tu vuoti continuamente lo riempi di vita sempre nuova. Questo piccolo flauto di canna hai portato per valli e colline attraverso esso hai soffiato melodie eternamente nuove. Quando mi sfiorano le tue mani immortali questo piccolo cuore si perde in una gioia senza confini e canta melodie ineffabili. Su queste piccole mani scendono i tuoi doni infiniti. Passano le età, e tu continui a versare, e ancora c’è spazio da riempire.
Il mio canto ha deposto ogni artificio. Non sfoggia splendide vesti né ornamenti fastosi: non farebbero che separarci l’uno dall’altro, e il loro clamore coprirebbe quello che sussurri. La mia vanità di poeta alla tua vista muore di vergogna. O sommo poeta, mi sono seduto ai tuoi piedi. Voglio rendere semplice e schietta tutta la mia vita, come un flauto di canna che tu possa riempire di musica.
Il bambino adorno eli vesti principesche, con al collo monili ingemmati, perde ogni piacere nel gioco, la sua veste lo impaccia a ogni passo. Per paura che si possa stracciare o che s’imbratti di polvere si tiene appartato dal mondo e ha timore persino di muoversi. Madre, a che vale tutta questa eleganza se ci tiene lontani dalla salutare polvere di questa terra, se ci priva del diritto d’entrare nella grande festa del mondo?
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