Perché esiti, perché ti volgi, perché arretri, mio Cuore? Le tue speranze t’hanno preceduto: da tutto qui son dipartite; ora dovresti dipartirti tu! Una luce è passata dall’anno che ritorna, e dall’uomo e dalla donna: e quel che ancora è caro attrae per schiantare, respinge per farti appassire. Il cielo soffice sorride – il vento basso sussurra vicino: è Adonais che chiama! oh, affrettati a raggiungerlo! La Vita non divida più quel che la Morte può riunire. Traduzione di Francesco Rognoni e Massimo Mandolini Pesaresi
Poesia n. 342 Novembre 2018 Percy Bysshe Shelley. Dalla dimora dove abitano gli eterni a cura di Massimo Bacigalupo
Sei pallida perchè sei stanca di scalare il cielo e fissare la terra tu che ti aggiri senza compagnia tra le stelle che hanno una differente nascita, tu che cambi sempre come un occhio senza gioia che non trova un oggetto degno della sua costanza?
Sono come uno spirito che nell’intimo del suo cuore ha dimorato, e le sue sensazioni ha percepito, e i suoi pensieri ha avuto, e conosciuto il più profondo impulso del suo animo: quel flusso silenzioso che al sangue solo è noto, quando tutte le emozioni in moltitudine descrivono la quiete di mari estivi. Io ho liberato le melodie preziose del suo profondo cuore: i battenti ho spalancato, e in esse mi sono rimescolato. Proprio come un’aquila nella pioggia del tuono, quando veste di lampi le ali.
Le fonti si confondono col fiume i fiumi con l’Oceano i venti del Cielo sempre in dolci moti si uniscono niente al mondo è celibe e tutto per divina legge in una forza si incontra e si confonde. Perché non io con te? Vedi che le montagne baciano l’alto del Cielo, e che le onde una per una si abbracciano. Nessun fiore-sorella vivrebbe più ritroso verso il fratello-fiore. E il chiarore del sole abbraccia la terra e i raggi della luna baciano il mare. Per che cosa tutto questo lavoro tenero se tu non vuoi baciarmi?
È forse che in qualche più lucente sfera ci separiamo dagli amici che qui troviamo? O noi vediamo passare il Futuro oltre il vetro affumicato del Presente? O che cosa è che ci porta a comporre uno con l’altro i frammenti di un sogno, parte dei quali diventa vera, e parte batte e ci trema in cuore?
Come il fantasma d’un amico amato è il tempo passato. Un tono che ora è per sempre volato via, una speranza che ora è per sempre andata un amore così dolce da non poter durare fu il tempo passato. Ci furon dolci sogni nella notte del tempo passato. Di gioia o di tristezza, ogni giorno un’ombra avanti proiettava e ci faceva desiderare che potesse durare quel tempo passato. C’è rimpianto, quasi rimorso, per il tempo passato. È come il cadavere d’un bimbo molto amato che il padre veglia, sinché alla fine la bellezza è un ricordo, lasciato cadere dal tempo passato.
La musica, quando voci lievi svaniscono, vibra nella memoria. I profumi, quando le dolci viole appassiscono, vivono dentro i sensi che ridestano. Quando la rosa è morta, i petali di rosa sono raccolti sul letto dell’amata; quando te ne sarai andata, con il pensiero di te anche l’Amore si addormenterà.
Alla creazione della terra il Piacere, la nascita più divina, si levò dal suolo del Paradiso, avvolta in dolci e selvagge melodie, come un’esalazione che sale in spire al suono dell’aria che soffia lieve attraverso i pini eolii, che sono ombra e riparo per il lago donde si alza tenera e lenta; le sue membra con il respiro della vita fluivano nell’armonia divina di una linea sempre continua che avvolgeva la sua forma perfetta di una bellezza calda e luminosa.
E come una dama morente che pallida e smunta ravvolta in un velo diafano esce vacillando dalla sua camera, ed è insensato incerto vaneggiare della mente smarrita che la guida, la luna sorse nel tenebroso oriente, una massa deforme che sbiancheggia.
Incontrai un viandante di una terra dell’antichità, Che diceva: “Due enormi gambe di pietra stroncate Stanno imponenti nel deserto… Nella sabbia, non lungi di là, Mezzo viso sprofondato e sfranto, e la sua fronte, E le rugose labbra, e il sogghigno di fredda autorità, Tramandano che lo scultore di ben conoscere quelle passioni rivelava, Che ancor sopravvivono, stampate senza vita su queste pietre, Alla mano che le plasmava, e al sentimento che le alimentava: E sul piedistallo, queste parole cesellate: «Il mio nome è Ozymandias, re di tutti i re, Ammirate, Voi Potenti, la mia opera e disperate!» Null’altro rimane. Intorno alle rovine Di quel rudere colossale, spoglie e sterminate, Le piatte sabbie solitarie si estendono oltre confine”.
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