Ti prego, luccio, non abboccare. Scansa la mia esca con degnazione. Un po’ d’astuzia, o di malinconia: manda un segnale di evoluzione. Se ho fame, fa’ che smagrisca ancora, mandami all’aria, morto ed illuso; e peggio ancora se l’insidia è sport, accattonaggio di natura e d’uso. L’amo conferma amore interessato, la lenza è occulta pubblicità: rimani onesto, l’acqua ti continua, non farti appendere, solidarietà. Paolo Febbraro (Roma, 1965), da Fuori per l’inverno (Nottetempo, 2001)
«Buongiorno, mi dia tre etti del cadavere di un manzo. Però mi raccomando, che sia di quello che non ha sofferto andando al macello, del più sciocco, fidente o soprappensiero, cui l’ultimo muggito non abbia striato la carne d’incubo e maledizione contro la nostra biblica autorità, e autorizzazione. Un bel vitello con la nervatura non ustionata dalla memoria d’un cancello. Che stia bene col brodo leggero, la frutta di stagione e l’aroma del vino novello. Mi dia di quello». Da Il bene materiale, Scheiwiller 2008
Disse la voce: «Sono colui che tolse il senno a Kant e gli occhi a Omero. Fui io che volli incerti i tratti al padre di Amleto, son io la febbre irresponsabile che colse Alessandro, il sogno felice che scatenò Attila e lo sguardo traverso che tradì Orfeo. I piani di battaglia sussurrai al vincitore di Waterloo, Leonardo tormentai col più folle degli amori. Con sfavillio di fuoco persi nel buio ad Alessandria secoli di parole, corsi sulle trentatré lame che vollero rosse e famose le idi di marzo. Per invidia ho operato con fredda intelligenza. Ora me ne vado in un luogo né bianco né nero al riparo da ogni profumo e da ogni pensiero». «Dèmone, vipera, serpe, debole amante del nulla, a te sia dato, infido, l’irrevocabile oblio». «Non chiamarmi diavolo, uomo. Sono Dio». Da Il secondo fine, Marcos y Marcos 1999, poi in Il bene materiale, Scheiwiller 2008
E all’ultima porta, al penultimo passo, quando ancora il pensiero se spunta ha un dove per ritornare, un attimo prima che il cielo si sveli per sempre o si copra non lo daresti un seme della tua eternità per ritornarci sopra, non cercheresti il fiato per poche parole diminuite tipo buongiorno quattro tre sì d’accordo mi sentite? Da Il secondo fine, Marcos y Marcos 1999, poi in Il bene materiale, Scheiwiller 2008
Butterati dalle ustioni, fra i ponteggi dei restauratori i classici guardano a noi con l’occhio sazio del rapace che ci riduce a istanti. Non sopportano luci artificiali: notte sia notte, nubi a plotoni senza temporali. Stringono il cuore, ma come lo possono fare le mani tramutate in ali. Nel nostro andare noi li perdoniamo, spettri educati, mutili e ideali. Se li studiamo, ancora ci minacciano. Ma quale polvere. Quali scaffali. da Fuori per l’inverno, Nottetempo 2014
Finisce novembre e gli uccelli portano alle tettoie stecchi nudi, sminuzzano in volo i venti. Col pane fresco in braccio due vecchi teneri di fame e nostalgie pensano ai propri vent’anni, ai denti. Scorrono campi di cardi attorno alla stazione suburbana; ritardi si annunciano in alto ad alta voce; sulla panchina, le gambe a croce, medita il passeggero i suoi eterni torti. Son questi – pensa – i tempi soliti, i tempi morti. Il patimento si aggiorna, banale si sfoglia la pagina di cartavetro: lo mormora l’acquirente del giornale e vorrebbe tornare indietro. La Borsa titoli cade, il mondo vale meno; le vertebre del viaggiatore avvertono sul sedile la restituzione del freno. Studenti scendono in fretta, chiassosi nella uniforme giovanile: fra storico e vile è lo sguardo di due anziani reduci del Novecento, fra le mani due sorti. Più degli andati – si stringono – verranno tempi morti. Al finestrino accanto, c’è uno che vive, nel vagone male scaldato, incide sul foglio parole afone, prive di socievolezza; solo, un po’ curvo, scarta e intride, si prende il disturbo. Come per musica annota ciò che ha sentito più casualmente; svuota i doveri del tempo libero, il giardinaggio della mente, incastra pensieri cari, termini corti. Non pagherà la moneta dei vivi – mormora – la cura dei tempi morti. Da Il bene materiale, Scheiwiller 2008
L’insonne è chi non vuole farsi decifrare dalla notte. È l’ufficiale di turno che decide le rotte perché l’alternativa è il mare. L’insonne accende la lampada sul comodino, fa l’imputato in questura, risponde alle domande per evitare la tortura. L’insonne non sbadiglia, è fatto certo dal proprio errore. Per lui la notte diventa una platea, la partoriente vuota. Lo libera aprendo il sipario e bianca retrocede, ignota. da Fuori per l’inverno, Nottetempo 2014
Le giovani donne soffrono perché i mariti d’estate le amano, a sera, quando più a lungo le guardano nude: e loro, stanche e accese, li amano pure. E sentono tendersi il ventre, spossessarsi di loro, e danno il sangue in perdite lunghe o in siringhe sterili, per tradursi in numeri, e si aprono a sonde che alle viscere designano urgenze. E la prima sera d’autunno, nell’istante in cui il cielo cede e si sgrana nero, si svegliano magre e arrochite e il dolore attento le presidia salendo dai fori che alle pance giovani e bianche hanno tolto vita e insidie. Sussurrano allora mai più, ed è insieme l’infanzia che hanno perso e non dato, l’inverno estraneo che supereranno. Da Il bene materiale, Scheiwiller 2008
«Non vi saranno altre voci. Già sorge il sole e cancella nell’aria i resti dell’incubo che pure fu cena, parole e mani. Altri giocheranno sulla rima capovolta fra sepolcro e ascensione, fra morte propria e sua resurrezione. Voi liberatevi dalla salvezza. Risorge a tempo il sole e vi cancella con bianche dita l’aspra tenerezza». Da Il secondo fine, Marcos y Marcos 1999, poi in Il bene materiale, Scheiwiller 2008
Molto, di marzo, è diventato fiume. La pioggia lo ha allevato il mese intero. Lo dicevo – fra me – ieri sul ponte e il Tevere convesso covava il suo bitume come la vena d’un mondo anziano. Quella corrente spossa gli argini, sorda e sfiancante li slaccia. Crudele il sole ammetteva i contorni, ma il liquido li annette senza faccia. La fusoliera d’un gabbiano porta la guerra all’aria: cancella in volo come da un quaderno il mondo liquefatto in cui va a caccia. da Fuori per l’inverno, Nottetempo 2014
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