Vorrei volare sulle alpi coi piccioni dissi a mio fratello il sanguigno. “Non è cosa per noi!” Non m’hai compreso, gli dissi, voglio darmi allo studio. “Il latino – disse – non fa per noi: impara prima la lingua del serpente!”
Mio fratello il sanguigno a sei anni sapeva piantare al volo la lesina in terra, a dieci – tre spanne sulla testa il coltello nel tronco novello. Una volta scrutato la mia mente ne convenne e disse: “Siam due mani per una sola testa: spartiamoci i doveri: a me la spada – a te la penna!”
Quando io sarò sfinito dalle fatiche degli anni ripidi come rocce non stare o Taze in pena, per me steso su tavole di morte agnello pronto al sacrificio. Lascia che le vecchie piangano su me quel giorno i loro morti, di vecchia data.
Un’ultima volontà, o donna: quando morì mio padre, abbattemmo due buoi per saziare gli affamati e le formiche dei campi con briciole di pane. Ma io morirò tra gente sempre sazia, per questo nei miei pranzi offrite solo caffé amaro.
C’è una vecchia città sorta presto sui meandri delle rocce e non ha del mare il sentore. Ha occhi stanchi, rivolti in basso bruciati dal sole disciolto in acque salmastre come sangue.
C’è questa vecchia città condita di palmizi nuovi al cielo e un brusio di umane voci senza eco, ai quattro venti, cordoglio prolungato dacché è sorta a oggi.
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