Incantesimo

Marina Ivanovna Cvetaeva

Marina Ivanovna Cvetaeva

 

Ti ho versato nel bicchiere
una manciata di capelli bruciati,
perché tu non mangi, non canti,
non beva, non dorma.
Perché la giovinezza non ti sia gioia,
perché lo zucchero non ti sia dolce.
Perché tu non te la intenda nel buio della notte
con la giovane moglie.
Come i capelli tuoi d’oro
sono divenuti cenere grigia,
così gli anni miei giovani
diventeranno bianco inverno.
Perché tu diventi cieco-sordo,
perché ti dissecchi come il muschio,
perché ti dilegui come un sospiro.

Il grido delle stazioni

Marina Ivanovna Cvetaeva

Marina Ivanovna Cvetaeva

 

Grido delle stazioni: resta!
delle sale d’aspetto: oh, compassione!
grido delle stazioni secondarie:
non è l’esclamazione
di Dante:
“lasciate ogni speranza”?
E grido delle locomotive.
Con il ferro squassa
e col rombo di un’onda oceanica.
Agli sportelli delle casse
credevi che commerciassero in spazi?
In mari e terreferme?
Nella più viva delle carni:
carne siamo – non anime!
Labbra – non rose!
Via da noi? – No, su di noi
le ruote trasportano gli amati!
Alla tale e alla tal’altra velocità all’ora.
Sportelli delle casse.
Ossicini d’una passione da giocatori.
Ha ragione quel qualcuno di noi
che disse: l’amore è uno scorticatoio!
“- La vita è rotaie! Non piangere!”
Massicciate – massicciate – massicciate…
(Negli occhi di questi ronzini
i proprietari guardano malvolentieri).
“Senza fosso e senza cucitura
non c’è felicità. – Con questo l’ho comprato,”
quella sarta aveva ragione.
Al che, dopo un silenzio: “Ci sono le traversine.”

Ecco ancora una finestra…

Marina Ivanovna Cvetaeva

Marina Ivanovna Cvetaeva

 

Ecco ancora una finestra,
dove ancora non dormono.
Forse – bevono vino,
forse – siedono così.
O semplicemente – le due
mani non staccano.
In ogni casa, amico,
c’è una finestra così.
Non candele o lampade hanno acceso il buio:
ma gli occhi insonni!
Grido di distacchi e d’incontri:
tu, finestra nella notte!
Forse, centinaia di candele,
forse, tre candele…
Non c’è, non c’è per la mia
mente quiete.
Anche nella mia casa
è entrata una cosa come questa.
Prega, amico, per la casa insonne,
per la finestra con la luce

Sorelle

Marina Ivanovna Cvetaeva

Marina Ivanovna Cvetaeva

 

A noi, fervide sorelle,
Toccherà andare all’inferno,
Bere l’infernale pece,
Noi, che in ogni nostra vena
Al Signore lodi alzammo!
Noi su culla e filatoio
Mai ricurve nella notte,
Trascinate sulla barca
Con indosso l’ampio burka.
Noi, fasciate in fini sete
Della Cina fin dall’alba,
Che cantammo inni celesti
Sotto il rogo del brigante.
Casalinghe neghittose
— Cuci e scuci, e tutto a sfascio! —
Danzatrici e flautiste,
Tutto il mondo ─ ai nostri piedi!
Ora indosso pochi stracci,
Ora appese fra le stelle.
Per fortezze e per taverne
Marinando i sette cieli.
A passeggio nelle notti
Nel giardino che fu d’Eva…
– A noi, care sorelline,
Ragazzine mie cortesi,
Toccherà andare all’inferno!

Ora io sono un ospite celeste

Marina Ivanovna Cvetaeva

Marina Ivanovna Cvetaeva

 

Ora io sono un ospite celeste
nel tuo paese.
Ho visto l’insonnia del bosco
e dei campi il sonno.
Da qualche parte nella notte
gli zoccoli
strappano l’erba.
Pesante è il sospiro di una mucca
nella stalla assonnata.
Io ti dirò con tutta
la tenerezza e la malinconia
dell’oca guardiana
e delle oche che dormono.
Le mani affogate nel pelo del cane,
il cane canuto,
Poi, verso le sei,
l’alba è arrivata.