Lo spirito ha bisogno del finito per incarnare slanci d’infinito. Parlo con l’angelo, e le tue braccia d’uomo soltanto lo traducono ai miei sensi. Dove comincia l’ala? Dove nascono musiche di tamburi di tempesta? Amarti è sprofondare, è una foresta sfumante in cieli altissimi.
L’indifferenza è inferno senza fiamme, ricordalo scegliendo fra mille tinte il tuo fatale grigio. Se il mondo è senza senso tua sola è la colpa: aspetta la tua impronta questa palla di cera.
Quando ti amavo sognavo i tuoi sogni. Ti guardavo le palpebre dormire, le ciglia in lieve tremito. Talvolta è a sipario abbassato che si snoda con inauditi attori e luminarie – la meraviglia.
I giorni che tu credi dissipati nel chiasso e nella noia, a tua insaputa ròdono il deserto con furiose radici – trovano un filo d’acqua mentre dormi o aspetti a lungo un treno che non viene, e succhiano in silenzio, e ti preparano i frutti del compenso.
L’indifferenza è inferno senza fiamme, ricordalo scegliendo fra mille tinte il tuo fatale grigio. Se il mondo è senza senso tua solo è la colpa: aspetta la tua impronta questa palla di cera.
E lui mi aspetterà nell’ipertempo, sorridente e puntuale, con saluti e storie che alle poverette orecchie dell’arrivata parranno incredibili. Ma riconoscerà, lui, ciò che gli dico? In poche note o versi qui raccolgo i messaggi essenziali. Un altro raggio, aria diversa glieli tradurrà.
Il desiderio è scivolare in sé, è un ombelico interno che concentra ogni energia, la rapida che preme sul pettine ruggente della diga. È scrimolo infernale, il punto–crisi dell’acqua che sprofonda verso i quieti allegretti del fiume. Ma mi si stringe crudelmente la morsa del salto.
Ibernati, incoscienti, inesistenti, proveniamo da infiniti deserti. Fra poco altri infiniti ci apriranno ali voraci per l’eternità. Ma qui ora c’è l’oasi, catena di delizie e tormenti. Le stagioni colorate ci avvolgono, le mani amate ci accarezzano. Un punto infinitesimo nel vortice che cieco ci avviluppa. C’è la musica, (altrove sconosciuta), c’è il miracolo della rosa che sboccia, e c’è il mio cuore.
E ricordo una stagione in mezzo ai colli immensi, affaticata dal soffiare della notturna tramontana. Un gelso gemeva negli strappi, così alto che talora il suo grido mi svegliava. Ieri nel tornarvi non sembrava passato altro che un giorno. La tramontana ci infuriava intorno. Contro il cancello, intatta, era restata una mia antica rosa morsicata.
Sarebbe, il mondo, un fresco castagneto se tutto mi guardasse coi tuoi occhi. Marroni, intensi, laghetti dorati ai raggi dolcemente declinanti. Così gli occhi degli angeli, castagne che hanno perso il riccio. Il Paradiso è quella svestizione, ogni segreto è arrivare al cuore.
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