Un luogo che conosco, un mestiere con pochi gesti, una casa in cui tornare, la pace data dall’essere utile, parole poche per dire senza veli, la faccia senza pesi né lamenti. Sembra la lista della spesa, ma è la fame ciò che manca, l’insicurezza nel farsi uomini. Marco Scarpa (Treviso, 1982), daMac(‘)ero (Raffaelli, 2012)
Quando finiva le azioni, i compiti assegnati, le malattie da evitare, finiva tutto, le parole, le voglie storte, le porte da aprire. Era come stare all’aria aperta in un tripudio di doveri sotterrati. La fine era la chiave per serrare il tutto fatto fuori dai pacati inganni dai dov’eri quando servivi. Marco Scarpa (Treviso, 1982) da Mac(‘)ero (Raffaelli 2012)
Sta ancora aspettando la comparsa di un’ipotesi plausibile, una qualche teoria vaga, con denti da latte, trovata di frodo, un pensiero lineare, limpido che sappia ridurre in grani la questione righi la scorza dura, la corazza, che riesca a spiegare senza inganni quale bene sia il migliore, quello più corretto senza coda che trascini sporcizia, intrichi, cose turpi, il bene puro veloce più del male, dal chiarore certo. Marco Scarpa (Treviso, 1982), inedito
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