trar tel fogo arte vèci
par no èser rivadi
a ciaparghe la òlta al tènp
l’è cofà scanzelar par rabia
e po’ ciamarse grami
par oler ben
i screcoléa, i scròca
ma no rivarà, nò, forèsti:
l’é fursi àneme che lontan le ciama
o che in tra de lore le se ciama
par na ultima òlta
fa par colpi de tos
cusì l’è n’antra mòrt
che se dà col gòs sgonfi
de ’n oler ben perdest
e s-céṡene del cor i crèpa i lenċ
par senċ de fun che i se pèrz, i se scònz
in tra stele forèste
Luciano Cecchinel (Lago, 1947), da Sanjut de stran, (‘Singhiozzo di strame’, Marsilio, 2012)
per un’ultima volta buttare nel fuoco utensìli vecchi / per non essere riusciti / ad aggirare il tempo / è come cancellare per rabbia / e poi chiamarsi grami / per amore // crepitano, crocchiano / ma non arriveranno, no, forastici: / sono forse anime che da lontano ci chiamano / o che tra loro si chiamano / per un’ultima volta / come per colpi di tosse // così è un’altra morte / che si dà con il gozzo gonfio / di un amore perduto / e schegge del cuore si crepano i legni / per segni di fumo che si perdono, si nascondono, / tra stelle estranee
Luciano Cecchinel è poeta plurilingue: scrive nella parlata di Revine-Lago (alto trevigiano, al confine con il bellunese), in italiano (i testi in lingua di Perché ancora [Vittorio Veneto, ISREV 2005] e tutt’intero Le voci di Bardiaga [Rovigo, Il Ponte Del Sale 2008]) e in inglese (i numerosi passaggi di Lungo la traccia [Torino, Einaudi 2005] e, nella medesima raccolta, il componimento Ohio Blues).
L’esordio è però in vernacolo, come pure l’ultimo tempo del suo opus; a cominciare dai titoli: Al tràgol jért (‘L’erta strada da strascino’) (Pederobba, I.S.Co 1988; Milano, Scheiwiller 1999, edizione riveduta e ampliata) e Sanjut de stran (‘Singhiozzo di strame’) (Venezia, Marsilio 2012).
Da grande lirico qual è, Cecchinel sospinge il dato autobiografico fin sulla soglia dell’emblematicità, avvertendo il proprio ambiente con forza appassionata.
Sull’io poetante incombe la medesima condanna alla rovina che incalza il suo mondo, e il dialetto consente di recuperare al meglio la rappresentazione più fedelmente dolorosa della sua vicenda personale e di quella della sua gente.
Va da sé che l’adesione solidaristica di Cecchinel alla sua heimat s’impone quale ineludibile memento.
Il ricordo dei morti è perciò un dovere continuo; i trapassati sono evocati bruciando gli utensìli che possedevano in vita.
L’efficacia di questa negromanzia (la campata del libro da cui è tratta la poesia s’intitola per l’appunto rituài de larin, ‘rituali di focolare’) fonda sul concetto di contiguità, sebbene si tratti di una contiguità immaginata o anche solo del ricordo di essa.
(Giovanni Turra)