Non io, idiota, non il sé, ma noi, noi: onde di blu-cielo come una critica del paradiso: perché fai tesoro della tua voce quando essere una cosa è essere pressoché nulla? Perché guardi su? Per udire un’eco come la voce di dio? Per noi siete tutti uguali, solitari, alti sopra noi, programmando le vostre sciocche vite: andate dove siete mandati, come ogni cosa, dove il vento vi pianta, e l’uno o l’altro di voi guarda sempre giù e vede qualche immagine d’acqua, e cosa sente? Onde, e sopra onde, uccelli che cantano.
Vedo che con te è come con le betulle: non mi è concesso parlarti alla maniera personale. Molto c’è stato fra noi. O fu sempre solo da una parte? Sono in torto, in torto, ti ho chiesto di essere umano: non sono più bisognosa di altri. Ma l’assenza di ogni sentimento, della minima cura per me… tanto vale che continui a rivolgermi alle betulle, come nella mia vita precedente: facciano pure il peggio, mi seppelliscano con i romantici, le foglie gialle a punta cadano e mi coprano. Louise Glück (New York, 1943) da L’iris selvatico (Giano Editore, 2003)
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